Donato, l'ennesimo sigillo

26 Luglio 2015

di Giorgio Cimbrico

Quando Tobia Bocchi ha visto la luce, 7 aprile 1997, Fabrizio Donato aveva appena saltato 16,40 a Pretoria. Diciotto anni dopo, nella sera del nuovo record italiano juniores del parmigiano che potrebbe essergli figlio, il Grande Vecchio lo ha battuto con 16,91, giusto un centimetro per guadagnare la selezione per i Mondiali di Pechino e mettersi addosso la maglia tricolore numero 19. Con il lungo fanno 22 perché oltre a essere diciassettemetrista FD è anche ottometrista. Quando nel Nido d’Uccello si svolgerà la qualificazione, Fabrizio avrà compiuto 39 anni e gareggerà in un ideale mondiale master con la certezza di vincere. “Ma devo ancora pensare se andare o meno: le energie nervose non si trovano più così facilmente”.

E ora è facile e banale dire che Torino gli porta fortuna ricordando che qui, sei anni fa, conquistò la sua prima corona europea, all’Oval. A Fabrizio Donato non porta fortuna niente: lui va avanti con la sua magnifica testa di agonista, con la sua aura di indistruttibile, di cyborg molto umano. Il tempo passa e Fabrizio, che sta tagliando il traguardo dei vent’anni alle Fiamme Gialle, è sempre qui, una rocca di Gibilterra, con la sua barba dura e ispida, con quella figura che pare sbozzata nel legno, con quello sguardo deciso, con quel rimbalzare che sembra ritmare un’esistenza intera: un rimbalzo, un passo, un salto per valicare il fiume della vita.

Donato è uno che non si mai arreso e ha raccolto più da maturo che da giovanotto: un altro segno della sua irriducibilità davanti agli sgambetti della sorte, agli infortuni, alle controperformance, al lungo periodo passato tra il 17,60 dell’Arena, nel 2000, per approdare ai momenti importanti da maturo, quando è diventato un frequentatore di podi, sempre affiancato da Roberto Pericoli che una volta, osservandolo, masticava toscani.

E’ cominciata proprio a Torino, con il 17,59 del titolo europeo indoor, ed è andata avanti due anni dopo, a Parigi, 17,73 (la sua esplorazione più estrema), secondo dietro un formidabile Teddy Tamgho. A 36 anni il 2012 gli ha concesso la sua stagione più alta: titolo europeo all’aperto a Helsinki (qualcuno li etichettò campionati di serie B, ma intanto lui saltò 17,63), bronzo olimpico a Londra, stessa medaglia di Beppe Gentile a Mexico ’68. Giasone atterrò a 17,22 e per qualche minuto rafforzò la sua posizione di effimero primatista del mondo, Fabrizio lasciò un buco nella sabbia a 17,48, quattordici centimetri davanti a Daniele Greco, l’erede che la sorte ha trasformato in un san Sebastiano trafitto dai dardi. Ora, altri tre anni dopo, vittoria in Coppa Europa a Cheboksary (17,11, una bava di vento oltre la norma), l’ennesimo titolo italiano, il passaporto per il volo verso Oriente. Eterno. Da lunghi abbracci.

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