Daegu, Vizzoni e l'ottava volta Mondiale



Il sole a Daegu non picchia. Almeno per ora. Dopo pranzo, al villaggio degli atleti, si può sorseggiare un caffè. Italiano, naturalmente. Nicola Vizzoni assapora il suo mischiandolo ai ricordi. Quella coreana sarà l'ottava volta in una rassegna iridata. In pochi hanno fatto meglio nella storia della manifestazione (per il marciatore spagnolo Garcia, Daegu sarà la decima presenza: un record). "Mi ricordo la prima, ad Atene '97 - dice il 37enne toscano, lisciandosi il pizzetto -, qualificazioni alle 8 del mattino, praticamente all'alba. Un trauma. Con me in gara Paoluzzi e Sgrulletti: finimmo tutti eliminati. Due anni dopo, a Siviglia, la mia prima finale importante, chiusa al settimo posto. Dodici mesi prima di Sydney, della medaglia d'argento olimpica".

Ad Edmonton 2001, la miglior prestazione tecnica in un Mondiale.

"Probabilmente sì, ma quella è anche la gara che più mi ha lasciato l'amaro in bocca. Quarto con 80,13, a 14 centimetri dal bronzo. La mia medaglia di legno. Ma se mi guardo alle spalle, non posso certo lamentarmi: ho fatto una bella carriera, sono salito sul podio in tutte le manifestazioni internazionali assolute alle quali ho preso parte. Certo - sorride -  Mondiali esclusi... anche se Edmonton, in fondo, può valere un pezzetto di medaglia".

Otto partecipazioni non sono uno scherzo. Guardarle da qui, dall'oggi, che cosa significano?

"Che ho lavorato bene in questi anni, che ho saputo imparare dagli errori commessi, e soprattutto che mi diverto ancora. Sì, in fondo questa è la verità: sono qui a quasi 38 anni perché, grazie a Riccardo Ceccarini, il mio allenatore, ho riscoperto quanto sia divertente fare l'atletica. Il piacere di andare a gareggiare in manifestazioni regionali, di finire la trasferta a cena con i compagni di allenamento, di ridere e scherzare con loro. Non so esattamente quando smetterò, ma so che smetterò quando non mi divertirò più. E per ora, non vedo traguardi finali".

Vice campione europeo a Barcellona lo scorso anno, nuovamente oltre gli 80 metri in questa stagione (a dieci anni dalla prima), quinta misura mondiale dell'anno (e con il capolista, il russo Zagornyi, che ha dato forfeit): date le premesse, quali gli obiettivi?

"Ho tanti bei ricordi del passato, vorrei aggiungerne un altro. Questo è il mio unico obiettivo. Favoriti? Non scherziamo, non ce ne sono: quando si entra in camera d'appello, si diventa tutti uguali, ancora più in una grande manifestazione. Io so di essermi preparato bene, sempre tra Pietrasanta e Livorno; solo in una settimana, ad agosto, ho avuto problemi con una bronchite, ben curata dal medico Stefano Spagnolo, ma sostanzialmente direi che tutto è andato come da programmi. Con Ceccarini abbiamo impostato la stagione proprio per ottenere due picchi di forma: a fine maggio, dove infatti è venuto l'80,29 di Firenze; ed in occasione del Mondiale, dove mi auguro di ritrovare quelle sensazioni. Le gare di luglio, a Madrid e Budapest (chiuse con 78,82 e 75,61), sono coincise con periodi di lavoro, quindi quei risultati vanno interpretati. Dal mio punto di vista, in maniera molto positiva".

Trentatre atleti a Daegu, per la squadra azzurra più piccola di sempre in un Mondiale. Ti sei chiesto perché?

"E' anche il frutto delle difficoltà che attraversa il nostro Paese, dove manca, sempre più, una vera cultura sportiva. E comunque, vorrei dirlo, non è che sia proprio facile arrivare ai Mondiali. Specie in atletica. Basta guardarsi intorno, qui a Daegu: questo è l'unico sport davvero globale. Non manca nessuno. Anche se, poi, lo sappiamo, ci sono paesi, o continenti, che dominano più in  una specialità piuttosto che in un'altra".

E i giovani? Ci sono o no giovani di valore nell'atletica italiana?

"Di giovani interessanti ce ne sono, eccome. Basta vedere quel che hanno fatto nelle rassegne internazionali di luglio, le medaglie ed i risultati che hanno saputo cogliere. Ma adesso sta a loro capire se avranno voglia di scalare l'atletica, o se si accontenteranno di scalare solo sé stessi".

Il tecnico conta?

"Certo. Io guardo la mia esperienza. Ho avuto un allenatore, Roberto Guidi, che mi ha portato all'atletica di vertice; e poi, altri due, Nicola Silvaggi e Riccardo Ceccarini, che hanno saputo esaltare le mie qualità. Con Ceccarini lo diciamo spesso: non abbiamo inventato nulla. Qui non c'è niente da inventare. Bisogna solo lavorare, sodo, ed il bravo tecnico deve saper modellare gli strumenti d'allenamento sui proprio atleti. Perché non siamo tutti uguali".

Un ultimo sorso di caffè. Il sole è ancora nascosto dalle nuvole.

Marco Sicari

LANCI, IL PARERE DI SILVAGGI: "AZZURRI DA FINALE" - Quattro atleti, tutti potenzialmente da finale. Nicola Silvaggi non si nasconde, e dipinge un quadro positivo delle potenzialità azzurre nei lanci. "Non abbiamo molti atleti qui a Daegu - racconta l'ex DT - ma tutti e quattro mi sembrano in grado in grado di superare le qualificazioni. Qualche difficoltà in più per la Bani, visto che nel giavellotto femminile, quest'anno, in moltissime hanno lanciato dalle parti dei 60 metri, e con scarti ridottissimi; ma direi che abbiamo concrete possibilità di vedere tutti e quattro gli azzurri in finale. E' necessario però riuscire ad esprimersi al meglio, perché ai Mondiali le incertezze si pagano duramente". Chiara Rosa nel getto del peso "Ha tutto per essere protagonista", Silvia Salis nel martello "Brava quest'anno a migliorarsi", la già citata Zahra Bani nel giavellotto. E Nicola Vizzoni, a fare da apripista (oltre che da capitano) nel lancio del martello. "Nicola può giocarsela con i migliori: è preparato, e con il suo tecnico ha gestito molto bene il lavoro di preparazione. Per lui parla anche la grande affidabilità di questi anni". La stagione del settore ha visto anche la crescita di diversi giovani: "E' l'aspetto a cui tengo di più. Daniele Secci rappresenta la punta di diamante, ma ricordo anche il bronzo di Lorenzo Povegliano alle Universiadi, segnali di un movimento in crescita".

Nella foto, il martellista Nicola Vizzoni (Giancarlo Colombo/FIDAL)




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