Bolt, 100 metri da re a Londra

25 Luglio 2015

di Giorgio Cimbrico

Ritorno di un re, come nell’affascinante librone di William Darlymple su vecchie vicende afghane che profumano fortemente di attualità: la storia, si sa, ha una particolare inclinazione a ripetersi. Là si parla di uno shah rimesso in qualche modo su un trono vacillante, qui si parla di un re per cui qualcuno aveva composto il de profundis e che quel trono non vuole abbandonare.

Se 48 ore fa Usain Bolt distava tre metri e mezzo virtuali da Justin Gatlin, ora è  un metro o poco più. O poco meno, considerando che tre dei suoi quattro sub 9”80 il newyorkese li ha ottenuti in condizioni ideali, con discreto o deciso vento di coda, e a Doha e a Roma nel bozzolo di quel caldo amato dagli uomini veloci. All’Olimpico di Londra Usain, al contrario, ha avuto una serata molto inglese a 15°, una pista umida (buon per lui, la pioggia lo ha risparmiato), un vento contrario di 1,2 in semi, di 0,8 in finale. Tutto questo per spargere spezie sullo scontro che dista meno di quattro settimane: più vicini sono, meglio è..

Parole del Lampo: “Fossi partito come volevo, sarei andato anche più forte, come mi capita in allenamento. Ma è una situazione diversa, lo capisco: la gara porta pressione. Della semifinale sono soddisfatto, della finale meno. Comunque, gli ultimi 50 metri sono stati buoni e quando vedo che Glen (Mills, l’allenatore) è felice, sono felice anch’io”. Bolt non correva così veloce da due anni e il 9”87 (doppio) gli permette un salto record nelle liste dell’anno: dal 62° al sesto posto, al fianco di Tyson Gay, “quello che mi ha deluso di più. L’aveva sempre considerato un grande”. Il progresso violento di Usain invita a dare un’occhiata alla situazione: quattro tempi sotto i 9”80, tutti di Gatlin, e otto uomini sotto i 9”90: Gatlin ovviamente, Asafa Powell (arrivato a quota 90 nella collezione di tempi sotto i 10”), il giovanissimo Trayvon Bromell che al primo impatto con l’Europa ha rimediato un cartellino rosso, Keston Bledman che a occhio non appare molto affidabile , Jimmy Vicaut (quattro volte sotto il muro), Gay, Bolt e il piccolo Mike Rodgers che si sta dimostrando un fenomeno di regolarità: dieci tempi tra 9”88 e 9”99 per il trentenne del Missouri dotato, come tanti, di qualche ombra nel passato: nel 2011, positivo a uno stimolante.

A questo punto della stagione, 27 atleti sono andati sotto i 10” per un raccolto complessivo di 65 prestazioni a tre cifre. Diciassette (o diciotto, in caso di recupero di Adam Gemili) daranno vita al torneo di Pechino, alla ricerca di sei posti in finale. Due, naturalmente, sono prenotati da Bolt e Gatlin che, dal 2004, hanno dominato la scena olimpica e mondiale, lasciando spazio solo a Gay nel 2007 (Justin era squalificato, Usain stava crescendo) e a Yohan Blake nel 2011 per la Falsa di Daegu, diventata famosa più o meno come il gol di quel buonanima di Alcide Ghiggia al Brasile, quello che provocò il Maracanazo.
Senza voler anticipare uno dei temi portanti del Mondiale pechinese, ma limitandoci a rapide e superficiali osservazioni, sarà il duello tra chi (Gatlin) ha portato vicino alla perfezione la tecnica della partenza (osservare l’azione dei piedi), della progressione e della capacità di penetrazione nell’aria (le ginocchia non sono mai alte, le braccia non concedono un minimo di dispersione) e chi (Bolt), dotato di mezzi fisici prorompenti, non ha avuto bisogno di affinare ogni particolare. La serata di Londra, in questo senso, è stata eloquente: due volte 9”87 nel giro di un’ora, in condizioni difficili, con lacune ancora evidenti, offerti da un Bolt a trequarti di efficacia.

John Regis, il mastodontico velocista inglese di un quarto di secolo fa, ha detto che Gatlin può spingersi sotto i 9”60: significa una potente insidia portata al record mondiale berlinese di Usain. Se davvero così fosse, nel Nido potrebbe nascere un uovo gigante. Perché il re non è così facile da deporre.

RISULTATI/Results



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