Berlino applaude l'incredibile Harting

03 Settembre 2018

Il discobolo tedesco ha concluso la sua carriera d'oro domenica 2 settembre al meeting ISTAF nel caloroso abbraccio dell'Olympiastadion

di Giorgio Cimbrico

E adesso tutti lo ricorderanno come l’incredibile Hulk che, senza diventare verde, mandava in frantumi quel che fasciava la sua corazza di muscoli e mandava in visibilio i fotografi che lo seguivano e lo incitavano a fare a brandelli la maglietta. Ma Robert Harting, che si è pensionato un paio di giorni fa, prima di compiere 34 anni, non è stato solo la facile riproposizione di un supereroe da fumetti e da piccolo e grande schermo.

Innanzitutto, un tipo strano, scorbutico. “Mai potuto sopportarlo”, ha detto di lui il pesista-discobolo olandese Rutger Smith. “Con un carattere del genere non combinerà mai nulla di buono”, sentenziò l’estone Gerd Kanter alla vigilia di Mondiali di Berlino, quelli della prima canottiera andata a pezzi.


“Hai visto?”, replicò Robert che in quei giorni si era anche impelagato in atteggiamenti poco tolleranti verso la politica di espiazione nei confronti del doping nella vecchia e scomparsa Ddr. “Ha usato parole pesanti, ma era sotto pressione per via della finale che lo aspettava”, derubricarono il peccato da mortale a veniale quelli della federazione tedesca.

Un carattere da prendere con lunghe pinze montato su un fisico da titano o da guerriero nibelungico - 2,01 per 130 kg - per l’omaccione che è passato a lungo per berlinese ma che in realtà ha visto la luce, cinque anni prima della caduta del Muro, a Cottbus, Brandeburgo, una di quelle zone dove Federico il Grande faceva incetta di giganteschi granatieri che montavano la guardia alla reggia di Potsdam o marciavano compatti verso il nemico.

Figlio di lanciatori - sia mamma Bettina che papà Gerd scagliavano il peso - Robert ha aperto la sua carriera più illustre con una delusione, quarto a Pechino, per proseguire con un crescendo da cavalcata delle walkirie: tre titoli mondiali, due europei, l’oro olimpico di Londra.


In quel periodo aveva anche infilzato una serie di 35 vittorie consecutive, interrotta dal polacco Piotr Malachowski che, spesso vittima predestinata negli appuntamenti di peso, per una volta riuscì a sgambettarlo.

Pur essendo uno dei discoboli più decorati della storia, chiude la sua era con una posizione nella all time relativamente modesta: diciannovesimo, grazie al 70,66 che centrò nel maggio 2012 a Turnov nel Memorial che rende omaggio a Ludvik Danek, il boemo campione olimpico a Monaco ’72 e noto per indossare sotto la canottiera la “maglia della salute”.

Omaggiato durante gli Europei (è finito sesto), ha occupato il manifesto del meeting dell’Olympiastadion di domenica per un ultimo atto che ha riportato in superficie un’unicità che difficilmente potrà esser sottratta: a batterlo è stato Christoph, fratello minore di età ma maggiore per possanza con i suoi 2,07. Robert e Christoph sono stati capaci di trasmettersi il titolo olimpico di disco come se quella medaglia fosse un prezioso di famiglia. Mai capitato e difficile che capiti ancora. Quel giorno, a Rio, anche Christoph mise in mostra aspetti singolari, forse balzani: al momento della premiazione, non mostrò particolare commozione, non cantò l’inno, offerse solo qualche sorrisino che qualcuno in patria non gradì. Fratelli ribelli: Mirone, scalpello in mano, faticherebbe a metterli in posa.

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