Abdon Pamich, 90 anni in marcia

03 Ottobre 2023

La fuga per la libertà, il bronzo di Roma, la gloria olimpica nella 50 km ai Giochi di Tokyo 1964, i due titoli europei. La lunga storia di una vera leggenda dell’atletica italiana, oggi novantenne

di Fausto Narducci

Italiano due volte (per origine e per scelta), azzurro per oltre un ventennio, oro e bronzo olimpico in cinque partecipazioni ai Giochi, due volte campione europeo e primatista mondiale in pista, in carriera 591 gare disputate con 391 vittorie e 11.860 chilometri percorsi. I 90 anni compiuti oggi da Abdon Pamich - con quel nome e cognome che per anni sono stati sinonimi della marcia in Italia - rappresentano il compendio di quasi un secolo di atletica ma anche di storia, geografia, politica, evoluzione dei popoli. Italiano due volte perché Abdon era nato da Giovanni (commercialista e direttore di azienda) e da Irene Susanj il 3 ottobre 1933 a Fiume che era stata Italia ma che era diventata Jugoslavia e oggi si chiama Rijeka e sta in Croazia. Lui che era stato avviato al pugilato dallo zio Cesare (tecnico, arbitro e organizzatore che aveva portato al titolo olimpico nel ‘36 a Berlino il suo allievo peso gallo Ulderico Sergo), rinacque da italiano il 23 settembre 1947 quando a 14 anni scappò oltre il confine per una marcia verso la libertà che praticamente non è mai finita. 

LA FUGA

Una fuga dagli spari dei partigiani di Tito e dalle foibe, i salti dal treno e le lunghe camminate in maglietta e pantaloncini insieme al fratello Giovanni (un anno più grande) che dopo un lungo peregrinare fra Milano e Udine lo portò a Novara in un centro profughi e poi a Genova dove si riunì tutta la famiglia: il padre che si era trasferito prima di lui a Trieste, la madre e gli altri due fratellini che erano rimasti a Fiume. Giovanni studiò da chirurgo, Abdon (che significa “servo del Signore”) da geometra. Ma il suo destino era camminare, marciatore sulla scia del fratello e allenato da Giuseppe Malaspina, con l’esordio nell’aprile 1952 nella fase provinciale del “Gran Premio Donato Pavesi” e l’ultima a Luino nel 1975.

LA CARRIERA

In mezzo una carriera che, per sua stessa ammissione, non ha raccolto quanto avrebbe meritato, soprattutto alle Olimpiadi, ma ha portato anche tre podi europei (nel ‘62 oro a Belgrado proprio a casa di Tito), tre vittorie ai Giochi del Mediterraneo, 40 titoli italiani, un primato del mondo sui 50.000 metri di marcia in pista (125 giri) con le 4h14’02” stabilite il 19 novembre 1961 in uno stadio Olimpico gremito, primati su svariate distanze (indimenticabile il record del miglio strappato a Ugo Frigerio nel 1969 al Madison Square Garden, tempio del pugilato), un oro e un bronzo nella Coppa del Mondo di marcia e vittorie nelle Classiche di tutto il mondo (Praga-Podebrady, Giro di Roma, Città di Sesto). Per il profugo fiumano anche un onore di cui nessuno altro atleta al mondo può vantarsi: essere annunciato vincitore da papa Paolo VI davanti ai fedeli che gremivano il piazzale antistante il Palazzo Pontificio nella Roma-Castel Gandolfo vinta 10 volte. 

OLIMPIADI

Ma la gloria di un marciatore è racchiusa soprattutto nelle Olimpiadi a cui Abdon Pamich partecipò ben cinque volte in una corsa a ostacoli più che nelle prove dei 50 km (e a Melbourne anche della 20). Sempre qualcosa che non andava, una barriera da superare. Nel 1956 una preparazione folle che lo costrinse a svolgere, alla vigilia della partenza dall’Italia, un test di 8 ore per verificare la resistenza e che lo vide sciogliersi nel caldo tropicale del deserto australiano: 11° nella 20 (superato anche dall’amico-rivale Dordoni) e 4° nella 50 km. Poi nel 1960, nella sua Roma, sul percorso Stadio Olimpico-Acilia un errore tattico: avvio troppo prudente, ottavo al giro di boa e terzo alla fine. Nonostante il podio Abdon, a cui non mancava l’ingegno, decise di mettersi in proprio e finalmente a Tokyo 1964 arrivò l’oro che valeva una carriera. Ma anche qui la sorte cercò di mettergli lo sgambetto. Un rifornimento sbagliato con il the freddo che provocò una crisi intestinale e al trentesimo chilometro ecco l’esigenza fisiologica entrata nell’aneddotica dello sport: un gruppo di soldati giapponesi che lo copriva (ma qualcuno dice che si trattò semplicemente di una siepe) e Pamich che riemerse fra gli applausi del pubblico che aveva capito tutto. Riprese in due chilometri l’inglese Paul Nihill e tagliò il traguardo da vincitore con 19” di vantaggio e il record olimpico di 4h11’12”. Poi, dopo il ritiro di Messico ‘68, la carriera olimpica si sarebbe conclusa con la prima squalifica ad alto livello a Monaco ‘72 ma lì ci fu la soddisfazione di fare il portabandiera e, due giorni dopo la gara, ci sarebbe stato altro a cui pensare, con la strage provocata da Settembre Nero. 

FUORI DAL CAMPO

Ma anche fuori dal campo di Abdon Pamich, sempre al lavoro, non si è perso mai il ricordo. Merito dei suoi interventi nelle scuole, delle sue mille iniziative in favore della comunità giuliano-dalmata in Italia e soprattutto a Roma, anche come membro della Società di Studi Fiumani. E poi come testimonial nel 2016 della Corsa del Ricordo. Dopo il giro di boa dei novant’anni Abdon Pamich, ancora sinonimo della marcia, non ha mai terminato la sua fuga. 

Ad Abdon Pamich i più sinceri auguri di buon compleanno del presidente FIDAL Stefano Mei, del Consiglio Federale e di tutta l’atletica italiana.

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