Owens: 80 anni fa il giorno dei giorni

25 Maggio 2015

Il 25 maggio del 1935 lo statunitense, icona leggendaria della storia dell'atletica, stabilì sei primati mondiali nel giro di 45 minuti

di Giorgio Cimbrico

Il giorno dei giorni compie 80 anni. Per gli aficionados dell’atletica è inutile precisare che il D Day è il 25 maggio 1935: Ferry Field, Ann Arbor, Michigan, sei record del mondo migliorati o uguagliati da Jesse Owens in un’ora o poco meno, aspettando di offrire la settimana delle settimane di lì a poco più di un anno all’Olympiastadion berlinese, lo stesso luogo dove il miglior Usain Bolt corse in 9”58 e 19”19 e poi timidamente domandò: “Scusate, ma chi è questo Owens di cui parlate sempre?”.

Quel che capitò è stato tramandato dalla storia e, nel mio piccolo, ho provato a tramandarlo ogni volta che la polvere del tempo scivolando nella clessidra annunciava un anniversario tondo o costruito sulla moltiplicazione dei lustri. Il giorno dei giorni è il Natale dell’atletica, è la bellezza, è la naturalezza del gesto, è l’approdo oltre porte iniziatiche. L’ultima considerazione vale soprattutto per il lungo: Jesse, che si chiamava James Cleveland, saltò 8,13 e quel record tenne duro per un quarto di secolo. Una vecchia foto, virata in seppia, lo offre in volo: la pedana sembra un sentiero di campagna.

A volte uno si domanda cosa vorrebbe vivere se fosse possibile viaggiare nel tempo. Stephen Hawking dice che è possibile, ma so già che quando sarà consentito sarà una faccenda per gente con il conto in banca molto cospicuo.


Rimarrà un sogno e io comunque sarei indeciso tra il 6 maggio 1954, quando Roger Bannister, sulla pista di Iffley Road, Oxford, diventò il primo uomo a scendere sotto i 4’ nel miglio e il giorno dei giorni. Considerato il costo dell’intrusione nella dimensione spazio-temporale, converrebbe puntare su Ann Arbor: un’ora di delizia pura contro quattro minuti meno sei decimi.

La ricostruzione del giorno dei giorni non è facile perché non è agevole rovistare nel mito, più o meno come investigare su quando Giove si trasforma in nuvola o in toro dopo aver adocchiato una bella ninfa. Raccontano che Jesse non stesse molto bene, che aveva mal di schiena, che il suo allenatore lo avesse consigliato di lasciar perdere, ma lui voleva dar una mano all’Università dell’Ohio che gli aveva dato una borsa di studio. E così a a questo punto è meglio lasciar parlare lui, in un’intervista possibile.

“Esistono due versioni. La prima: una settimana prima mi ero fatto male alla schiena cadendo dalle scale. La seconda: avevo giocato una partitina di football tra amici e mi ero infortunato. Sono passati molti anni e anch’io ho ricordi confusi. In un caso o nell’altro, facevo fatica a muovermi e Larry Snyder, il mio allenatore, mi disse: Jesse, forse è meglio rinunciare. Ma io non me la sentivo di privare la Ohio State del mio aiuto e così andammo”.


Andarono al campo che quell’anno ospitava le finali delle Big Ten, lo scontro tra le dieci maggiori università del Centroest degli Usa.

Sabato 24, prove di qualificazione. “Jesse, vacci piano”. E Jesse va piano, giusto per tornare in pista il giorno dopo. “Mi sveglio con la schiena quasi bloccata. Ehi, dico a un amico, dammi una mano per mettermi la tuta. Prima gara, le 100 yards: scavo le buchette e provo a mettermi in posizione di partenza. Dolore. Ma quando lo starter spara, vado via rilassato, fluido”. Sta scendendo la grazia: all’arrivo due cronometri dicono 9”4, uno 9”3. Gli danno 9”4, mondiale pareggiato. “Larry mi grida: come va?. Bene, dico, dolore sparito. Vado verso la pedana del lungo e intanto penso: tra meno di mezz’ora devo correre le 220 yards, qui ci sono venti concorrenti, la gara andrà avanti due ore. Ok, un salto e via”. E si concede un azzardo: va verso la buca e piazza un pezzetto di carta, fissato da un sassolino, a 7,98, record mondiale del giapponese Nambu.”Quando atterrai nella sabbia, capii di esser andato lungo: il foglietto lo avevo alle spalle e i compagni gridavano: ehi, uomo, l’hai fatta grossa”. Jesse, 8,13, il primo uomo oltre gli 8 metri. Il record tenne duro per 25 anni, due mesi e 18 giorni, sino all’8,21 d Ralph Boston.

Jesse è a metà dell’opera: alle 15,45, 220 yards, senza curva, su un rettilineo che non finisce mai: 20”3 e record (ritoccato di tre decimi: era di Ralph Metcalfe) che vale sia sulla distanza imperiale che su quella metrica. Bis un quarto d’ora dopo: stesso terreno, stessa distanza, ma con dieci ostacoli: 22”6 e questa volta il progresso è di quattro decimi. Non c’è dubbio, il biglietto che costerà i risparmi di una vita porta ad Ann Arbor, al giorno dei giorni.



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