Oslo, la luce del Nord

10 Giugno 2015

di Giorgio Cimbrico

Oslo, la luce del Nord, il Bislett, il luogo dei record, il tempio lo chiama chi privilegia le etichette un po’ gonfie, ma anche il posto dove uno può confezionarsi in autonomia un buon hot dog e un archivio dove può esser facile metter le mani ed estrarre documentazione preziosa come le foto bianco e nero che si incontrano sulle scale.

Quest’anno gli anniversari non si contano. O meglio, si contano, a cominciare dal sessantesimo dell’impresa di Roger Moens, 1’45”7 per abbattere uno dei pilastri dell’atletica, una di quelle prestazioni che anticipano il futuro, l’1’46”6 di Rudof Harbig all’Arena di Milano, nel luglio del ’39, poco prima si alzasse la tempesta che avrebbe spazzato il fuoriclasse di Dresda, caduto durante la spallata sovietica in Ucraina. Il belga andò alla partenza molto sicuro di sé. “Se oggi vuoi battermi – disse ad Audun Boysen – devi fare il record del mondo”. Il norvegese lo prese in parola e chiuse in 1’45”9, sette decimi sotto Harbig ma, un vero peccato per lui, Roger corse due decimi più veloce in quelli che si trasformarono, all’epoca, nei migliori 800 della storia.

Di mezzo secolo fa è l’impresa, da aquila solitaria, di Ron Clarke che sempre al nord, a Turku, la città di Nurmi, aveva ritoccato di poco più di un secondo il suo record mondiale dei 10000. Ma il formidabile aussie non aveva con sé il permesso per gareggiare (altri tempi…) e il nuovo limite rimase nel limbo degli ufficiosi. Era il 16 giugno: quattro settimane dopo, al Bislett, Ron festeggiò un suo personalissimo 14 luglio correndo in 27’39”4, con un progresso monstre di 36”2 e raccogliendo per strada anche il record sulle 6 miglia. Se a Turku il secondo era finito a 2’12”, a Oslo il più vicino, il britannico Jack Hogan, finì staccato di 1’40”. Voragini degne di una cronometro su lunghe distanze, la dimostrazione che l’australiano era non affrontabile uomo di passo. Non altrettanto efficace si dimostrò nelle battaglie serrate, nei confronti diretti che mettevano in palio medaglie importanti. A Oslo I 25 giri avrebbero conosciuto altri momenti storici grazie a Yobes Ondieki (primo tempo sotto i 27’), a William Sigei e a Haile Gebrselassie che diede vita a un monologo che lo portò al traguardo in 26’31”32.

Il 27 luglio di trent’anni or sono il programma dei Games si aprì con un record mondiale e si chiuse con un altro record: Iniziò attorno alle 8 Said Aouita estirpando un piccolo centesimo al 13’00”41 di Dave Moorcroft (tre anni prima, stessa pista, destando grande sorpresa), fornì il gran finale nel Miglio del Sogno, quando le 11 erano passate da un pezzo, Steve Cram che diventò il successore, nella cronologia della nobile distanza, di Steve Ovett e di Sebastian Coe che a questa pista avevano riservato alcune delle loro più riuscite sonate per ritmo e scarpe chiodate: per Steve, un record sui 1500 e uno sul miglio; per Seb, uno sugli 800, due sui 1000, uno sul miglio.

Oslo entrò anche nel tonante e indimenticabile ‘78 di Henry Rono (al Bislett caddero ai suoi piedi i 3000) e offrì pagine storiche nello sviluppo delle lunghe distanze al femminile: Grete Waitz nei 3000, Ingrid Kristiansen nei 10000 e, più di recente, Meseret Defar e Tirunesh Dibaba nei 5000, le etiopi dal piede leggero sempre più vicini al muro dei 14’.

In fondo abbiamo lasciato l’impresa, non baciata da un anniversario tondo ma con le stigmate del miracolo, di Forrest Towns, l’ostacolista americano bello come un divo di Hollywood, un Robert Redford in anticipo Veniva dall’oro di Berlino e da cinque 14”1. Quando tagliò il traguardo, uno degli avversari lo toccò su una spalla e gli disse: “Ehi, Forrest, hai fatto il record del mondo”. “Ho fatto 14”, finalmente?”. “Veramente hai fatto 13”7”. La luce del Nord lo aveva illuminato.



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