Mondiale, tutte le tonalità d'azzurro

21 Agosto 2015

Tra poche ore, con la maratona uomini, via alla rassegna iridata di Pechino. La squadra italiana, seppur condizionata dagli infortuni, ha le sue carte da giocare. Obiettivo: mostrare vitalità

Sarà un Mondiale complesso, difficile da interpretare, quello che prenderà il via domani mattina a Pechino (in realtà tra poche ore, quando in Italia sarà notte alta, con la maratona maschile: via alle 1:35). Dalle mille sfaccettature per altrettante ragioni: le polemiche sul doping, in primis, che avvolgono come in una cappa l’attesa per l’avvio delle gare al magnifico Bird’s Nest, ma anche il cambio di guida nell’atletica internazionale (con l’apertura di una nuova era che ha portato soprattutto hope, speranza, in chi vive il movimento), o l’ascesa della tensione, a un anno appena dai Giochi Olimpici di Rio de Janeiro, la destinazione alla quale puntano sogni e programmi di ognuno. C’è tutto questo, e molto altro ancora, ad animare e ad affascinare, a poche ore dal primo colpo dello starter. Il mondo si ritrova in quello che è (ha ragione Sebastian Coe) il vero ed unico global sport, capace com’è di mettere uno di fronte all’altro, spesso con identiche (quando non rovesciate) pretese di successo, atleti di potenze assolute e di stati irrintracciabili, sia sulle cartine geografiche sia sugli scacchieri politici internazionali. L’atletica ce la fa. E’ l’unica a riuscirci, con la sua marea umana pronta a prendersi un pezzetto della scena, le sue platee sterminate anche davanti alla tv. L’atletica, la “Regina”, la base di ogni altra disciplina sportiva.

C’è anche l’Italia, sulla linea di partenza. Orgogliosa, pronta a giocarsi le carte fino in fondo, ma certo, cosciente di non essersi presentata al cento per cento delle proprie potenzialità, falcidiata da innumerevoli infortuni e conseguenti assenze. Seppure sorretta, anche a livello emotivo, dalla miglior stagione di sempre a livello giovanile, il cui riverbero arriva fino a Pechino (con la convocazione della bimedagliata europea juniores Ayo Folorunso). Mai bello cominciare il discorso parlando di chi non c’è, ma certo, quando si lascia a casa l’unica medaglia iridata dell’ultima edizione mondiale (Valeria Straneo, argento in maratona a Mosca 2013 e anche agli Europei di Zurigo della scorsa estate), tutte e tre le medaglie dell’ultima manifestazione internazionale assoluta (gli altisti Silvano Chesani e Alessia Trost, la mezzofondista Federica Del Buono, sul podio agli Euroindoor di Praga), l’unica medaglia dell’ultima edizione dei Giochi Olimpici (Fabrizio Donato, bronzo del triplo a Londra), non si può far finta di niente, e dire: no, non cambia nulla. In realtà qualcosa cambia, e non ammetterlo significherebbe nascondere la testa sotto la sabbia. Il paradosso che spiega tutto è che anche in questa situazione, la squadra ha valori significativi, atleti in grado di emozionare: due campioni europei in carica, il maratoneta Daniele Meucci e la quattrocentista Libania Grenot, e diversi altri in grado di puntare a piazzamenti da finale. A cominciare dai saltatori in alto Gianmarco Tamberi e Marco Fassinotti, che, a parti invertite, hanno già compiuto un’impresa recente, il primo 1-2 in una gara di Diamond League (lo scorso luglio a Londra), per poi piazzare le tende dalle parti del vertice della specialità (con Tamberi salito al vertiginoso 2,37 del record italiano). Attenzione, e non solo per l'assenza delle russe, anche alle marciatrici Eleonora Giorgi ed Elisa Rigaudo, con quest’ultima che torna nello stadio che la vide bronzo olimpico bel 2008, passando poi per altri azzurri che la prima fila l’hanno vista in qualche occasione, e che possono ambire a fare di nuovo capolino, come Simona La Mantia, Marco De Luca, Chiara Rosa, l’emergente Giordano Benedetti, le staffettiste del miglio, o il sempre poco valutato Marco Lingua (che è ottavo al mondo nel martello quest’anno). Ci sono giovani (Stano, Tontodonati, Hooper, Riva, la già citata Folorunso, per ricordarne alcuni) che sono la semina del domani, e che qui faranno esperienze preziose, come già accaduto a tanti loro compagni in passato.

E’ chiaro poi che tutto questo non vuol dire medaglie, ci mancherebbe altro (lo zero è già uscito a Berlino 2009, e non è da escludere possa essere nuovamente estratto). Ma certo, il movimento ha l’occasione di mostrare la propria vitalità, la propria ambizione, enzimi indispensabili al processo di crescita, e già apparsi, per fare un esempio, nel Team Championships di Cheboksary dello scorso giugno. Il DTO Magnani ha detto il giusto, quando ha affermato (ieri, alla vigilia) che ognuno ha da vincere la propria medaglia, sotto forma di piazzamento, miglioramento prestativo, progresso. Sono (anche) queste le cose che andranno valutate, oltre a podi e finalisti. Perché lo sport, e soprattutto l’atletica, sono sì, ambiti umani dove il bianco ed il nero prevalgono; ma quando si lavora per la costruzione di un risultato, vanno valutate anche le scale di grigio. O meglio: le tonalità d’azzurro.

Marco Sicari

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