Libania, il graffio della Panterita

30 Aprile 2019

La maternità e l'addio alle gare: la Grenot atleta e donna, ritratto di una campionessa. “Ora sono una guerriera”, le sue parole dopo il primo titolo europeo dei 400 a Zurigo nel 2014

Ai Mondiali di Doha tra fine settembre e inizio ottobre, dopo tanti eventi internazionali vissuti da protagonista, Libania Grenot non sarà in pista nei 400 metri e con la staffetta 4x400 azzurra. La maternità, annunciata in una recente intervista alla Gazzetta dello Sport, e la decisione di lasciare l'attività agonistica, chiudono una carriera ricca di successi tra cui spiccano i due ori europei nel giro di pista a Zurigo nel 2014 e Amsterdam nel 2016. In questo ritratto, il racconto della Libania donna e della Grenot atleta.

di Giorgio Cimbrico

Libania che parte da Santiago de Cuba, Libania campionessa d’Europa (una volta; pardon, due), Libania finalista olimpica, Libania capitana delle All Blacks d’Italia, Libania presto mamma. Un caleidoscopio di immagini, ricordi, sensazioni in un’avventura che stordisce come un giro di pista a perdifiato. Lei ne sa qualcosa. Al momento del distacco, dell’addio, si trattava di scegliere, di puntare il raggio del riflettore su un lungo momento per trasformarlo nel simbolo di una vita di corsa. Eccolo.  

I tempi cambiano. Eric Liddell citava la Bibbia: “Correranno e non saranno stanchi”. Libania Grenot ricorreva a un altro testo, meno sacro, il libro di un profeta molto laico Usain Bolt: “Quando le difficoltà assalgono, è il momento di credere in se stessi”.

Con un accenno di sorriso, concedendosi un brindisi con un goccio di bianco, Panterita - che sarebbe meglio chiamare tigrilla per il tatuaggio cinese sulla mano destra - festeggiò il suo primo titolo europeo, conquistato nel piccolo-grande tempio zurighese di Letzigrund. “Ora sono una guerriera”, calò sul tavolo con voce ed espressione diventate improvvisamente ferme. Al suo fianco, Loren Seagrave sorrideva sotto i baffi sale e pepe. Seagrave, il Bollettieri dell’atletica: centro d’allenamento a Bradenton, Florida, vicino all’accademia del tennis, stessa cura nel creare talenti, nell’affinarli. “Quando è arrivata da me, ho capito che c’era spazio per la crescita: Libania aveva fisico e potenzialità che non erano ancora state sfruttate.

E muscoli perfetti”.

Flash back nel flash back e macchina indietro alla serata che svelò il segreto del suo successo, sotto un arcobaleno comparso, sparito, ancora stampato nel cielo sopra lo stadio dei record quando il colpo di pistola stava per essere esploso: “Sono andata via veloce, sono passata forte ai 200. Ero convinta di vincere, non temevo le avversarie. Avevo paura solo di me stessa”. Quella se stessa era un’altra Libania, che esauriva la carica, che non aveva alle spalle tre anni di lavoro nel caldo umido della Florida dove abitano molti suoi ex-connazionali, fuggiti dalla linda Cuba.

Correre da favorita può trasformarsi in una palla al piede. “Non ho sofferto la situazione: avevo alle spalle troppo lavoro, troppo sacrificio, troppa applicazione mentale per potermi perdere”. Non si smarrì ma qualcosa finì per lasciare sul rettilineo finale quando Olga Zemlyak, biondina ucraina, gettò dentro quel che ancora aveva, avvicinandosi, rimanendo a un metro e mezzo: 51.10 a 51.36 raccontavano il tabellone e il foglio gara di una finale molto diversa da quelle offerte dagli anni Ottanta e Novanta quando le discese sotto i 50 secondi (e sotto i 49) erano merce molto frequente e in certi casi molto sospetta.

L’Europa, da allora, è molto cambiata e se non c’era più spazio per sovietiche e tedesche est, finì per crearsene chi aveva deciso di dare una svolta alla propria vita. La terza di quella finale, la spagnola Indira Terrero, veniva dalla stessa lunga isola nella corrente, così amata da Hemingway, dove quasi 36 anni fa è nata Libania.

“Sul podio ho pianto le lacrime che mi venivano dal cuore: per l’Italia ho un affetto profondo. Mi ha adottata, mi ha dato nuove possibilità. Ma non è stato il mio primo inno: per me era già suonato quando avevo vinto i Giochi del Mediterraneo”, raccontava orgogliosa, commossa, disponibile, senza più “arricciarsi” su se stessa. “Sono cambiata, è proprio così. E questo è solo il primo passo. Voglio scendere sotto i 50” e interpretare i prossimi due anni da protagonista ai Mondiali di Pechino e ai Giochi di Rio”. E’ stata solo parzialmente di parola, ma va bene lo stesso. Adios, arrivederci.

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L'arrivo vincente di Libania Grenot a Zurigo 2014 (foto Colombo/FIDAL)


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