Levorato: ''L'atletica sarà sempre il mio mondo''

20 Febbraio 2015

La primatista italiana assoluta e bronzo europeo nel 2002 di 100 e 200 metri - in dolce attesa di due gemelli - saluta l'attività agonistica

di Giorgio Cimbrico

Cinque secoli fa, Manuela Levorato avrebbe trovato spazio in una di quelle grandi tele in cui i pittori della scuola veneziana (Tiziano e Tintoretto, più che Giorgione) offrivano uno specchio della società contemporanea sotto titoli biblici: perle e nastri nei capelli biondi, un incarnato esaltato dal vestito di broccato tendente al dorato; accanto a lei, un servitore con un canestro di frutta e un altro con un’anfora di vino.

Al momento dell’addio, è la prima immagine che viene in mente. Sontuosa, quasi regale? Di sicuro non forzata. Quelle legate a una cronaca che con lei è diventata storia, lunga storia, sono bavaresi, ambientate nel vecchio Olympiastadion battuto, in quei giorni estivi del 2002, da una pioggia senza fine e assediato da un clima che venne facile definire autunnale.

Con l’eccezione dei tempi felici dell’era Simeoni-Mennea, non è mai stato facile conquistare per l’atletica conquistare la prima pagina dei giornali, specie quelli non sportivi: Manuela riuscì nell’impresa con quel doppio bronzo 10-200 alle spalle di Yekaterini Thanou (con tutti i dubbi consentiti da quel che avvenne due anni dopo) e di Kim Gevaerts e, a seguire, della panteresca francese Muriel Hurtis e ancora della belga che, citazione per citazione, con quel viso leggermente cavallino pare uscita dal pennello di un Van der Weyden.

Manuela è stata l’unica italiana a correre in 100 in meno di 11”: capitò poco più di un anno prima sul velocissimo rettilineo di Losanna, quando il record italiano venne portato a 11”14. Togliere, secondo convenzione, 24 centesimi per ottenere un 10”9 pulito e manuale che fa sempre la sua bella impressione. E, andando ancora a ritroso nella profondità del tempo, trasformandolo in miniera, può essere rintracciato anche dell’oro, quello doppio su cui mise le mani agli Europei under 23 di Goteborg ’99. E tutto questo comincia a dare un’idea di quanto abbia dato, e per quanto, questa veneziana di terra (il luogo è Dolo) che con la fortuna ha sempre avuto crediti colossali: sufficiente pensare a quelle tre Olimpiadi perdute per infortunio.

A Sydney la resa toccò i tasti dello straziante e quelle lacrime furono contagiose.

Nell’atteggiamento, nel rapportarsi con il mondo, sempre lieve; nei numeri, gigantesca: 17 i titoli assoluti, 18 i tempi suoi tra i primi 20 dei 100 e 15 dei 200, raccolti in vent’anni abbondanti che prendono il via con l’argento in staffetta messo al collo in un Europeo juniores in una città ungherese dal nome che prevede sicuri errori sicuri di battitura.

E’ diventata mamma (di Giulia) e quei Giochi londinesi visti in tv non rientrano nella galleria buia in cui sono sprofondati gli altri appuntamenti con i cerchi e quando i trent’anni erano ormai stati doppiati come un promontorio, ha ritrovato la via che la portava al Grande Sentiero della sua vita, la pista. L’11”73 a cui ha fissato il record italiano over 35 sarà duro da rodere per le veterane a venire, esattamente come quell’11”14, come quel 22”60.

Manuela saluta e oggi, portando disinvoltamente i prossimi fratelli di Giulia (annunciati all’esordio ad agosto) , premierà chi salirà sul podio dei 60, un atro suo terreno di caccia: due triplette le ha centrate solo lei. In questi giorni, nelle interviste di commiato, è stata simpatica, aperta, allegra, senza metter accenti gravi sugli strali della sorte, salutando con affetto vero chi le è stato attorno, chi ha creduto in lei, nel suo motore potente, nella sua generosità. “Mi vedrete ancora, nel mio mondo rimango”. Ed è una buona notizia.

Manuela Levorato salutata dal Ten.Col. dell'Aeronautica Alessandro Loiudice e dal presidente della Bracco Atletica Franco Angelotti, ovvero il suo club militare e la sua società civile (foto Colombo)



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