Lenzi maestro di maratona

22 Gennaio 2015

Il ricordo dell'ex DT della Nazionale maschile, punto di riferimento nella storia della maratona azzurra

di Giorgio Cimbrico

“Non ero nella sua classe e così guardavo dalla finestra mentre faceva lezione, mi piaceva quel che insegnava e così un giorno, avevo 13 anni, riuscii a trovar posto in una campestre scolastica, corsi, vinsi e lui mi guardò e mi disse: non sei dei miei. No, ma voglio fare l’atletica. E lui sorrise e disse che andava bene così e di venire pure al campo. Ci avrebbe pensato lui”: a poco più di mezzo secolo da quei giorni Massimo Magnani racconta storie ferraresi del tempo memorabile in cui l’atletica che nasceva a scuola e grazie alla scuola, quando gli insegnanti erano degli innamorati e mischiavano orario a passione e sentimento. Per lui, la guida fu Giampaolo Lenzi che se n’è andato ieri. Per il professore, Magnani aveva un affetto filiale, intatto. “Quel giorno aveva mangiato di buon gusto, ma verso sera la fine è arrivata rapida”. All’ospedale di Ferrara era arrivato anche Orlando Pizzolato, uno dei suo allievi.

“Cosa faccio?, gli dicevo assediandolo con le mie richieste. Capì che il mio desiderio di sacrificio non era un attacco leggero, un innamoramento di superficie. E quando avevo 21 anni, decise che era il caso di fare, come diciamo in gergo, volume, e decise che avrei corso la maratona di San Silvestro del ‘72, quella che vinse Pippo Cindolo davanti a Umberto Risi. Barletta seguiva con il suo motorino e a un certo puto mi si affiancò: ah Magna’, che ce fai qui? Faccio chilometri, risposi”.

Nell’ultimo, tormentato chilometro della sua vita, Giampaolo ha provato piacere a rivedere la foto del podio di Hiroshima, vecchio trent’anni e fresco come tutti i momenti lieti. Lui è colto con un sorriso lieve, accanto a Luciano Gigliotti. Uno scalino sotto, Oscar Barletta, che parlava di maratona quando in Italia sembrava un sacrario inviolabile, un tuffo nell’ignoto. “In quella foto – mormora Magnani – ci sono le tre anime della maratona italiana”. Di quella squadra femminile che tornò in Italia portando come bagaglio appresso la Coppa del Mondo, Lenzi allenava Laura Fogli, che veniva dalle valli Comacchio, e Emma Scaunich, essenziale come una statua di Giacometti e con occhi color fiordaliso. Tra i maschi, Massimo, il ragazzo che nel frattempo era diventato uomo, e Orlando Pizzolato, il re di Central Park.

Dieci anni dopo, Gian Paolo sarebbe diventato il commissario tecnico della Nazionale, avrebbe dilatato il suo sguardo sempre fresco, sempre entusiasta, a quel macrocosmo che è il programma dell’atletica. Molti ricordi: uno è legato a una serata di pioggia a Sydney quando Nicola Vizzoni, detto Lefty, il mancino, detto Nick mano fredda, conquistò l’argento, a una spanna dall’oro. Giampaolo aveva lo stesso volto spianato e felice di quel giorno a Hiroshima. Una martellata, una maratona: che differenza c’è?

Sarebbe bello che, tornata a casa, la figlia Silvia dedicasse al padre una delle suites per violoncello di Bach. Rostropovich le suonò sotto il Muro che cadeva. E’ la filosofia che diventa musica, è il suono assoluto della libertà, è la la razionalità del miserere.

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SABATO L'ULTIMO SALUTO - Il funerale per volontà dello stesso Lenzi non avrà rito religioso. La bara verrà esposta nella camera mortuaria (via Fossato di Mortara a Ferrara) sabato 24 gennaio a partire dalle ore 15:15. Il corteo funebre partirà alle 15:45 per l'area crematoria della Certosa di Ferrara, presso la cui Sala del Commiato sarà dato l'ultimo saluto all'ex DT azzurro. 

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Giampaolo Lenzi con le azzurre di maratona sul podio di Coppa del Mondo ad Hiroshima 1985 (archivio FIDAL)

 



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