Il Mondiale italiano, tra passato e presente



Helsinki. L’atletica torna alle sue radici, ai luoghi che ne hanno vissuto l’ascesa moderna e la trasformazione in mito, sulla scia delle imprese compiute da tanti, indimenticabili campioni, nati in questa terra o esaltati da essa. Sabato prossimo, proprio qui, prenderà il via la decima edizione dei Campionati del mondo, in quello stesso stadio che, ventidue anni fa, fece da scenario alla nascita di questa manifestazione; e che prima, molto prima, era stato teatro di giochi olimpici e campionati europei. Il Mondiale. Dagli anni ottanta del secolo scorso, com’è ovvio che sia, molte cose sono cambiate. Anche nell’atletica. Il mondo del 1983, con la sua divisione in blocchi, è praticamente scomparso. Un altro pianeta si affaccia all’edizione 2005: atleti ovviamente diversi, paesi all’epoca inimmaginabili anche per i cultori del Risiko, motivazioni individuali e collettive che oggi, in più di un caso, farebbero probabilmente sorridere (se a torto o a ragione, è tutto da stabilirsi). L’Italia dell’atletica ha attraversato questi quattro (e più) lustri iridati recitando, in tutte le circostanze, un ruolo importante. Spesso da protagonista, e non soltanto per aver ospitato la seconda edizione, a Roma, nel 1987, in uno Stadio Olimpico ancora non ferito dal sacrificio architettonico (c’è chi lo chiama scempio) di Italia ‘90. La storia del cammino azzurro è fatta, come tutta la storia dell’atletica, di nomi e numeri, volti, tempi e misure. Rileggerli, interpretarli, può servire per meglio inquadrare il 2005. Nel tentativo, difficile, di capire che Mondiali saranno per l’Italia. In sostanza, di identificare, affidandosi alla statistica, limiti, potenzialità, e obiettivi azzurri. I numeri Partiamo dal dato partecipativo. La squadra italiana 2005, con i suoi cinquantacinque partenti (32 uomini, 23 donne), è seconda, nella storia iridata, solo a quella di Atene 1997, quando i selezionati furono ben 66. Lo stesso numero (55 atleti) partecipò all’edizione romana, quella contraddistinta sì dalle magnifiche imprese di Damilano e Panetta, ma anche dal famoso “zero” nei punti al femminile (nessuna italiana tra le prime otto, malgrado le cinque medaglie conquistate dai maschi). La partecipazione di ben tre staffette (manca solo quella del miglio femminile) incide senz’altro sul dato 2005, ma anche il conseguimento del minimo da parte di più di un atleta in alcune specialità (tre pesiste, tre duecentisti, per fare un paio di esempi) è un dato che va portato all’attenzione. In fatto di punti (quelli che scaturiscono dalla classifica che ne assegna 8 al primo arrivato di ogni gara del programma, sette al secondo e via così fino ad uno all’ottavo), il record italiano risale alla magica edizione di Goteborg 1995, quando arrivammo addirittura a quota 65 (31 per gli uomini, 34 per le donne, con ben sei medaglie, altro record). Furono, in quella circostanza, ben 14 i finalisti, anche se il record per questa categoria appartiene all’edizione ateniese del 1997, quando furono sedici gli italiani tra i primi otto (il minor numero di punti si spiega, ovviamente, con il minor pregio dei piazzamenti: tre medaglie nel ‘97 contro sei del ‘95). Siviglia 1999 rappresenta, da un certo punto di vista, l’edizione spartiacque per l’Italia: i tredici finalisti raggranellarono 54 punti, l’ultima volta oltre la soglia delle cinque decine per i nostri. Da allora, nelle due edizioni seguenti, il trend è stato di discesa (44 punti a Edmonton 2001, 39 a Parigi 2003), anche se, in fatto di medaglie, gli azzurri si sono mantenuti su uno standard decisamente elevato (4 podi nel 1999, altrettanti nel 2001, tre a Parigi due anni fa). Ventidue anni, da Cova a Gibilisco Proprio sulle medaglie va fatta una riflessione finale, preceduta dal necessario esame statistico: in nove edizioni, abbiamo finora raccolto undici titoli mondiali (due a testa per Maurizio Damilano, 1987 e 1991, e Fiona May, 1995 e 2001), restando senza oro solo a Stoccarda 1993 (dove però ottenemmo tre argenti e un bronzo). La lista si inaugurò proprio a Helsinki, nel 1983, quando Alberto Cova inanellò la seconda delle sue perle internazionali (preceduta dall’oro europeo di Atene, seguita da quello olimpico di Losa Angeles); l’ultimo acuto, il volo a 5,90 di Giuseppe Gibilisco allo Stade de France, nel 2003. In complesso, per 33 volte l’Italia ha centrato una medaglia (22 con gli uomini, 11 con le donne), con una media aritmetica di 3,6 (medaglie per edizione). Ciò vuol dire che, contrariamente a quanto pensato (e purtroppo, spesso affermato) dai soliti improvvisatori dell'opinione, non è mai esisita una nazionale azzurra in grado di vendemmiare medaglie mondiali. Di difendersi, certamente, di esaltarsi, altrettanto: di vittorie maramalde, però, i libri non parlano. Una età dell'oro, se è esisitita, lo è stata solo nei sogni di qualcuno. La realtà italiana, peraltro dignitosissima, è costante. Contrariamente a quanto accaduto ad altri, e più celebrati, Paesi europei. Gli unici ai quali, per un numero infinito di ragioni, vale la pena di rivolgere un desiderio di confronto. Il 2005 azzurro: obiettivi Completato questo giro di orizzonte, cerchiamo di trarne una via maestra, o prelomeno, indicazioni utili per la squadra azzurra a Helsinki. Quale il limite ragionevole da indicare ai ragazzi e alle ragazze di Nicola Silvaggi? Senza affrontare lo scomodo tema medaglie (legate, come sempre, anche all’umore della buona sorte), i dieci finalisti di Parigi 2003 possono diventare un buon termine di paragone, anche se non va dimenticato che ad Atene, lo scorso anno, i finalisti italiani furono esattamente la metà (cinque, seppure con tre medaglie, due delle quali d’oro). Le frecce all’arco tricolore sono tante, è vero, ma il bersaglio, continuando nella metafora, diventa sempre più piccolo e lontano, a causa di una competitività che non sembra destinata ad affievolirsi. Anzi. L’Africa non è più, da tempo, solo mezzofondo, o solo pista; il sudamerica, in più di una specialità, ha smesso da anni di fare presenza coreografica, mentre l’Asia, trascinata dalla Cina in corsa verso Pechino 2008, appare sempre più desiderosa – ed in grado – di mettersi in evidenza. Certo, le annate post-olimpiche, tradizionalmente, regalano sorprese (e soprattutto defezioni top, come avvenuto anche per Helsinki). Ma il panorama non lascia spazio a molti sogni. Sarà un Mondiale durissimo, come e forse più dei precedenti. Meglio non farsi illusioni. Le carte da giocare La nazionale italiana riparte dalle medaglie d’oro olimpiche di Baldini e Brugnetti (ma stavolta, quando si muoveranno, saranno in tanti ad incollarsi ai loro talloni), e da quella di bronzo di Gibilisco. Sono ancora tre atleti sui quali puntare, così come ci si può aspettare qualcosa di buono dal triplo al femminile (La Mantia e Martinez in una delle gare tecnicamente più difficili del Mondiale), da Elisa Rigaudo nella marcia donne, da almeno uno degli altri maratoneti in gara con Baldini (Di Cecco, Pertile?) o anche da una lottatrice come Fiona May, se riuscirà ad esaltarsi nell’ultimo grande appuntamento della carriera. Medaglie? Difficile a dirsi, il ruolo della buona sorte, come già detto, sarà determinante. Certo, alcuni di questi atleti vantano delle chances, che negare può sembrare sciocco. Poi, si apre il libro dei sogni, che comprende i nomi di tanti azzurri, attesi a prove maiuscole o comunque da traguardi che possono comprendere primati nazionali, ingressi in finale, o limiti personali: nel gruppo potremmo mettere uno tra i saltatori in alto (Ciotti, Talotti e Bettinelli), la Levorato, Collio, la 4x100 maschile, la Ceccarelli, una tra le pesiste (Checchi, Legnante e Rosa), la Balassini e la Claretti, i giavellottisti Pignata e Bani, Andrew Howe. Senza dimenticare che, in ogni occasione, vanno messe a registro – per il momento senza nome – almeno una sorpresa in positivo, ed una in negativo, sia tra gli uomini sia tra le donne. Esempi piacevoli dal recente passato: l’argento (poi oro) di Ivano Brugnetti a Siviglia, o lo stesso oro di Gibilisco a Parigi (quanti, Petrov a parte, ci avrebbero scommesso?). Chi si aggiudicherà lo scettro dell’imprevisto? Il gioco è difficile, ma, in quanto tale, assai stuzzicante. Le rivelazioni, a volte, valgono quanto una medaglia. Si accettano candidature. Marco Sicari
Nelle due foto, la prima e l'ultima delle medaglie d'oro italiane ai Mondiali: Alberto Cova (in alto) beffa tutti nella volata d'oro dei 10.000 di Helsinki 1983, e Giuseppe Gibilisco (in basso) spiega al pubblico il suo salto d'oro a Parigi 2003.

File allegati:
- LA SQUADRA ITALIANA A HELSINKI 2005 / Italian Team



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