IAAF: Coe-Bubka sfida per il futuro

04 Dicembre 2014

Nel 2015 le elezioni del nuovo vertice dell'atletica mondiale. Candidati alla presidenza due grandi campioni di sempre: gli olimpionici Sebastian Coe e Sergey Bubka.

di Giorgio Cimbrico

Vada come vada lo scontro tra Sebastian Coe e Sergey Bubka per la presidenza – il match è in programma ad agosto a Pechino, poco prima del via ai Mondiali 2015 – la Iaaf avrà un presidente con i più illustri quarti di nobiltà sportiva nella storia dell’associazione: due titoli olimpici nei 1500 e otto record mondiali tra 800, 1000, 1500 e miglio Lord Seb; un titolo olimpico, sei mondali e 35 record mondiali lo zar, rimasto sul trono più alto per un trentennio.

Ad oltre cento anni dalla fondazione – Stoccolma 1912 – e non lontani da un profondo cambiamento nella cabina di regia, sull’argomento della brillantezza del palmares un visitatore che viene dal passato ha la facoltà di intervenire e costui non può che portare l’impegnativo e lunghissimo nome di David George Brownlow Cecil, Lord Burghley, VI Marchese di Exeter, erede di una delle più antiche famiglie d’Inghilterra, con avi che erano stati molto vicini, esercitando una forte influenza, sulla prima Elisabetta, la regina vergine.

Burghley fu campione olimpico dei 400hs a Amsterdam 1928, ebbe per poche ore, il 2 luglio 1927, il record del mondo (a Londra corse in 54”2 le 440yards, poco prima che a Lincoln, Nebraska, John Gibson vincesse i campionati americani in un tonante 52”6), finì secondo a Los Angeles nella 4x400, diede vita a una bella serie di sfide con Luigi Facelli etichettate “Il Principe e il Povero” e, al pari di Coe, guidò i vertici organizzativi di Giochi londinesi, quelli del ’48, e fu a capo della federazione internazionale per un trentennio.
Di Burghley, che aveva occhi chiari e un profilo rapace, sono rimasti famosi un paio di episodi: premiò i 200 a Mexico City e si ritrovò, da rigido conservatore e in precario equilibrio per problemi di deambulazione, sotto il podio rovente di Tommie Smith e John Carlos (“non capivo perchè avessero quei guanti; pensavo si fossero feriti alle mani”) e fu uno dei pochi britannici a non sedersi di fronte allo schermo per “Momenti di gloria”.

Aveva saputo di inesattezze e licenze cinematografiche (fu lui e non Abrahams ad aver la meglio sulle lancette dell’orologio della torre nel Certame di Caius) e non mancò di inviare critiche acute come dardi.

Gli altri che lo hanno seguito alla guida della Iaaf, al tempo ubicata in una delle vie che fiancheggiano Harrods, raccolsero in pista o in pedana glorie minori: Adrien Paulen, olandese nato nella bella Haarlem, fu un giovanissimo finalista negli 800 i Giochi di Anversa, settimo, e lanciò il suo acuto cronometrico con il record mondiale dei 500 metri firmato sulla pista del Bislett; Primo Nebiolo non riuscì mai a varcare la linea dei 7 metri e riuscì al massimo a cingere la corona nazionale della seconda serie; Lamine Diack rispetto al piemontese riuscì ad atterrare quasi un metro più in là e fu campione di Francia sul finire degli anni Cinquanta. I due Lord e lo Zar, obiettivamente, appartengono ad un’altra dimensione.

I QUATTRO PILASTRI DI SEBASTIAN COE - Thomas Edward Lawrence, meglio conosciuto come Lawrence d’Arabia, ha scritto (e riscritto dopo aver perduto il voluminoso manoscritto in una delle sue scorribande nel deserto) i “Dieci pilastri della saggezza”: Lord Sebastian Coe, meglio conosciuto come Seb Coe, doppio campione olimpico dei 1500, si accontenta di quattro pietre angolari e su di esse va a poggiare il manifesto della nuova atletica. Manifesto è termine che gli inglesi usano così com’è, pescandolo direttamente dal’italiano. Dal prossimo agosto, chiuse le elezioni della Iaaf, se Coe la spunterà su Sergei Bubka e (candidatura possibile) su Nawal el Moutawakel, potrebbe essere la “sua” atletica. Dopo i Giochi di Londra, un regno su cui non tramonta mai il sole per chi è abituato a esplorare i confini del mezzofondo veloce.
In sintesi, riformare il calendario e promuovere il movimento attraverso “atletica di strada” nel centro delle città. A Manchester e due anni dopo l’Olimpiade, in pieno centro londinese, qualcosa è già stato tentato e con un certo successo.“Oggi – dice Coe – il nostro calendario non è organico, manca un filo conduttore e non ci sono i presupposti per creare attese, eccitazione. Si gareggia in Usa, Asia, Europa senza ordine e spesso tornando sui propri passi. Molti degli appassionati non sanno quando la stagione comincia né quando finisce. E’ necessaria un’armonizzazione per promuovere di pari passo un forte marketing e per consentire un robusto sviluppo sia degli atleti sia delle federazioni.
Puntare a una crescita commerciale e a un sempre maggiore coinvolgimento dei giovani, e aumentare l’appeal dell’atletica in un mondo che cambia sempre più rapidamente. Il ricorso ai social media sembra inevitabile.
Aumentare le risorse per l’antidoping e creare un dipartimento etico. I recenti, numerosi casi che hanno investito il Kenya e hanno richiamato l’intervento della Wada, sino alla creazione di una agenzia nazionale, è uno degli aspetti su cui lavorare a fondo. Ma non è il solo.
Cambiare la struttura interna della Iaaf per dare più voce agli atleti.
Queste le linee programmatiche, il tronco e i rami su cui l’uomo al centro del miracolo di Londra 2012 farà scaturire germogli in questi mesi di avvicinamento al momento decisivo.

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