Euroindoor: la partenza sprint di Tilli

02 Marzo 2015

Nel 1983 il velocista azzurro salì alla ribalta conquistando l'oro continentale dei 60 metri a Budapest

di Giorgio Cimbrico

C’è chi sotto il tetto ha cominciato a scalare il cielo e, per una volta, non stiamo parlando di ascese verticali, spesso più alte e anticipatrici nel pianeta indoor. Qui, nei giorni che precedono gli Europei Indoor di Praga, tentiamo di prendere in esame chi sbocciò nell’atletica d’inverno per lanciarsi in azzurri o assoluti spazi. Il primo che viene in mente è Stefano Tilli che, trentadue anni fa, aveva un volto così sicuro di sé e, al tempo, era allenato con attenzione e amore vicino al paterno da Plinio Castrucci che, in uno di quei film che gli americani chiamarono peplum, avrebbe avuto sicuramente la parte di un legionario veterano, forse di un decurione; al tempo dell’antica Roma, un sergente maggiore. Tilli tendeva al biondo, era romano di nascita etrusca, sulla rocca di Orvieto, e mostrò di avere le polveri accese sin dall’inizio di quella stagione che portava l’etichetta 1983, nel suo caso assai pregiata. In rapida successione, dotato di quel nome breve e rapido, vinse uno di quei meeting interregionali che al Palasport della Fiera del Mare di Genova riunivano centinaia di atleti e obbligavano alla compilazione di decine e decine di serie, concesse al bis, come si diceva al tempo da perfetto Carneade, ai campionati italiani, ospitati sullo stesso rettilineo. Di lì a poco, nell’arena di Budapest, nei pressi del Nepstadion, si piazzò in testa la corona europea dei 60 in 6”63, lasciando a un centesimo il tedesco Christian Haas e a tre Valentin Atanasov, bulgaro di grande stazza. Meno di sei mesi dopo, Stefano avrebbe fatto parte dell’indimenticabile quartetto (con Carlo Simionato, Pierfrancesco Pavoni e Pietro Mennea) capace di mettere chiodi e mani sull’argento ai Mondiali numero 1 all’aria aperta, dietro agli Usa guidati da Carl Lewis.

Tre inverni dopo, capitò di imbattersi in un altro sconosciuto, per di più assai più attempato del romano. L’occasione venne proprio in un campionato europeo, ospitato sulla pistina ormai scomparsa del vecchio Palasport di Madrid, un anello di 160 metri su cui quel giovanottone nero di pelle provò una certa fatica ad adattarsi. Per 200 che si correvano su un giro e un pezzo sembrava naturale che il favorito fosse il russo (al tempo sovietico) Aleksandr Yevgeniev, di statura modesta e di baricentro piuttosto basso. Invece a spuntarla fu il britannico, in 21”10, lasciando l’avversario a otto centesimi. Dick, ct britannico dell’epoca, raccontò che era difficile definirlo ragazzo perché era ormai vicino ai 26 anni. Finalmente riusciva ad allenarsi con una certa regolarità perché, tramite la federazione, aveva trovato un lavoro alla Thames Valley Authority, veniva dal quartiere di Hammersmith, era originario della Giamaica e si chiamava Linford Christie. Come nel caso del nostro Stefano, meno di sei mesi dopo dal coperto sarebbe uscito allo scoperto diventando campione europeo dei 100 in 10”15. Era cominciata l’epopea del nonno del vento.



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