Addio Fosbury, l’ingegnere che rivoluzionò l’alto

13 Marzo 2023

Si è spento a 76 anni lo statunitense campione olimpico di Città del Messico, la leggenda che inventò un nuovo modo di saltare e ispirò tutto il mondo

di Fausto Narducci

Quando si pensa ai rivoluzionari dello sport, agli uomini che hanno cambiato il corso della storia di una disciplina, il primo nome che viene in mente è sempre quello di Dick Fosbury. Per questo la notizia della morte a 76 anni del leggendario saltatore in alto, indimenticabile vincitore dell’Olimpiade di Città del Messico con lo stile “a gambero” che prese il suo nome e fu presto adottato da tutti, quando ha cominciato a circolare oggi pomeriggio è stata un vero colpo al cuore. Poteva sembrare una fake news, visto che compariva sul sito personale dell’americano e non era stata subito ripresa dalle agenzie, ma invece si trattava della triste realtà. A quanto pare la morte è avvenuta addirittura ieri, il 12 marzo, ma solo oggi i familiari l’hanno diffusa.

Dick Fosbury è un pezzo di storia dell’atletica, dello sport e del costume. La sua immagine è legata ai salti che arrivarono sulla tv da Città del Messico e sembravano provenire dalla Luna, non certo dalla terra. L’ingegnere di Portland vinse con 2,24, record olimpico quando il mondiale apparteneva ancora al sovietico Valery Brumel, ed ebbe come testimone il nostro Giacomo Crosa, poi noto giornalista sportivo, sesto con 2,14. Il Fosbury Flop in realtà era nato per caso, provato in allenamento, contestato da schiere di allenatori e poi adottato ai Trials che lo misero davanti agli occhi del mondo. Sara Simeoni, primatista mondiale italiana, fu fra quelle che se ne beneficiarono e seppe applicarlo alla perfezione. Il ventrale fu presto soppiantato da questo salto dorsale che raggiunse la perfezione con la rincorsa circolare che oggi vediamo su qualsiasi campo di gara, anche fra i ragazzini. Per applicarlo Dick si presentò in Messico con due scarpe di colore diverso in modo da riconoscere meglio la gamba di spinta.

Ingegnere civile di successo con laurea all’Università dell’Oregon Fosbury, che sembrava guarito dal linfoma da cui era afflitto, divenne un ambasciatore di atletica nel mondo. Lo avevamo conosciuto in Gazzetta e poi era venuto al Festival dello Sport di Trento conquistando anche il pubblico italiano. Una persona gentile, amabile, elegante, innamorato del suo sport ma anche del suo ruolo di simbolo dell’atletica che in America deve anche a lui la sua popolarità. Ecco se pensiamo all’immagine migliore degli Stati Uniti, alla cultura dei college americani, Fosbury era il primo nome che ci veniva in mente. Un uomo colto che ebbe anche un lungo impegno politico ma che si raccontava con eleganza e disponibilità. Ci mancherai tanto, Dick.

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