Nel ricordo di Pietro con Manuela Olivieri

10 Maggio 2017

Ecco l'intervista a Manuela Olivieri Mennea, in occasione dell'incontro con i ragazzi della Scuola Marmi.

Un incontro diverso da quelli a cui siamo abituati allo stadio dei Marmi. Ha passato con noi un pomeriggio non un atleta di fama mondiale ma qualcuno che ha vissuto accanto al più grande atleta italiano della storia: la moglie di Pietro Mennea, la signora Manuela Olivieri.

Il direttore dei Marmi, il professor Gianni Bayram, ha creduto che nessuno meglio di lei potesse premiare i ragazzi più veloci sui 200m del nostro progetto Brevetti.

Una donna incredibile che è riuscita a stregare chiunque incontrasse, con un sorriso sempre pronto ad accogliere chi fosse disposto a parlare ed ascoltare. Un pozzo infinito di storie e buone parole che l’atletica l’ha vissuta in seconda serata ma nessuno meglio di lei.

 

Sta vivendo un’esperienza che troviamo ammirevole partecipando ad ogni iniziativa riguardante Pietro. Che idea si è fatta dell’atletica leggera e del ricordo che ha la gente di lui?

Ho avuto la conferma di quanto Pietro sia amato da tutti. Non era difficile trovarlo sui campi d’atletica a spiegare a dei ragazzini come fare l’allungamento. Io continuo il percorso da lui intrapreso nella diffusione dello sport e dell’atletica leggera tra i bambini visto quanto possa essere importante nel loro percorso di formazione.

 

Conosceva il Pietro atleta?

L’ho conosciuto nel 1990, aveva già smesso di correre. Io conoscevo di fama un Mennea, ma neanche avevo mai visto una sua gara. Scherzando gli dicevo che se avessi saputo che l’avrei sposato qualche sua gara l’avrei vista, lui per ovviare al problema mi mostrava questi libroni con tutti ritagli di giornale, mi faceva vedere i filmati, mi raccontava le sue vicende, i suoi aneddoti, le impressioni e le idee, ancora adesso mi sento un po’ la depositaria della sua vita. Alla gente potrà sembrare strano poi, perché dava l’impressione di essere una persona taciturna, mentre in realtà era l’esatto contrario.

 

Come ha detto lei prima è importante la diffusione dello sport tra i giovani. Cosa pensa di noi addetti ai lavori, gli istruttori e allenatori e quanto crede sia importante l’educazione allo sport?

Siete fondamentali, bravissimi, specialmente con i bambini. Devono comprendere quanto sia importante lo sport perché poi li aiuterà nella formazione ma soprattutto a rapportarsi con gli altri. L’atletica, come diceva Pietro, è uno strumento che insegna il rispetto delle regole e dell’avversario, vede trionfare il più bravo, non il più furbo, insegna l’importanza delle sconfitte perché solo chi ne ha subite riesce a fare molto nella vita. Al riguardo riportava come esempio la finale dei giochi olimpici di Montréal dove era in lizza per il primo posto. Alla fine si classificò quarto ma da quella sconfitta riuscì a tirare fuori i migliori quattro anni della sua carriera sportiva: nel ’78 arrivò due volte a podio ai campionati europei di Praga, nel ’79 scrisse il nuovo record del mondo a Città del Messico (attuale record europeo n.d.r.) e infine nel 1980 vinse il suo oro olimpico ai Giochi di Mosca.

 

Lei si occupa della diffusione e dello sviluppo della Fondazione Pietro Mennea. Qual è l’obiettivo della Fondazione?

La Fondazione appoggia enti di ricerca medico-scientifica per bambini con malattie rare e difficoltà di vario genere, lo scopo secondario è quello della diffusione dello sport e dei suoi valori. Poi Pietro aveva il sogno di realizzare un museo dello sport, un luogo in cui mettere tutti i suoi cimeli sportivi, i testi, foto e documenti, per poter essere d’esempio per le generazioni future. Ripeteva spesso che dalle storie buone nascono le storie migliori, e vedeva in questa idea un modo per ricordarsi di quello che era riuscito a fare.

  

La forza di volontà e la minuziosità di Pietro l’hanno reso l’atleta italiano più forte di sempre. Allo stesso modo affrontava il mondo del lavoro e la vita quotidiana?

Assolutamente sì. Vedevo quanto lo sport fosse stato importante nella preparazione alla sua vita, tutto quello che lo sport gli aveva insegnato lui l’applicava nella quotidianità, per questo lo considerava fondamentale per i ragazzi, ti aiuta a vincere nella vita, perché quando sei abituato al sacrificio e all’impegno riesci sempre a raggiungere qualcosa di buono. Lui ha addirittura preso la sua ultima laurea in lettere a 51 anni, presentandosi a lezione e agli esami come tutti gli altri. I professori leggendo il suo nome credevano fosse un omonimo e restavano basiti quando invece si presentava come quel Pietro Mennea.

Per farvi capire meglio la mentalità che aveva posso dirvi che durante l’Olimpiade di Seoul, subito dopo aver gareggiato, è partito dalla Corea in direzione Milano per prendere questo master alla Bocconi, gli era indispensabile per poter a sua volta fare un esame da dottore commercialista senza essere laureato in economia. Non credo si sappia neanche che venti giorni prima dell’oro di Mosca lui si laureò in scienze politiche, per farvi capire quanto tenesse agli studi. Spesso raccontava al suo allenatore che andava a trovare i genitori a Barletta quando invece si recava a Bari per sostenere i suoi esami.

Anche in vista dei suoi impegni sportivi più grandi non si dimenticava di tutto il resto.

 

A fine carriera Pietro si è dedicato al mondo giuridico, politico e commerciale. Come per lui, quanto è importante per un atleta che lo studio e la carriera sportiva si muovano di pari passo?

E’ fondamentale considerando anche che uno non può praticare sport attivamente per tutta la vita, il che non significa allontanarsi dal mondo sportivo, esiste sempre la parte manageriale e organizzativa del campo, ma calcare le piste per sempre è impensabile. Per favorire questo sviluppo complementare, ad esempio, la LUISS ha messo a disposizione una borsa di studio per giovani sportivi a nome di Pietro così da permettere ad atleti di conciliare le due cose, cosa che non sempre lui è riuscito a fare.

Ad esempio gira la leggenda secondo cui Mennea non sia riuscito a passare il test d’ammissione all’ISEF. La verità è che nel ’71 fece la prova orale, dopodiché, in quel periodo ci furono i Giochi del Mediterraneo di Smirne. Lui subito disse che non poteva partecipare in quanto aveva la prova pratica necessaria all’ammissione. A quel punto tutti gli dissero che esisteva la sessione per i malati, quindi, sicuro di quelle voci, partì tutto tranquillo, vinse l’oro e al ritorno scoprì che non esisteva nessuna sessione speciale, da qui la leggenda secondo cui non abbia mai passato il test dell’ISEF.

 

C’è uno stadio, il più bello di tutti: lo stadio dei Marmi, intitolato a Pietro Mennea. Che effetto fa veder scritto il suo nome?

Il fatto che proprio questo stadio sia stato il primo ad essergli stato dedicato fa un gran bell’effetto, aveva un grande significato per lui, che oltre ad essere la pista su cui spesso si allenava è anche la custode di numerose storie ed aneddoti.

Uno dei più belli nasce il giorno in cui decise di voler fare scienze politiche. Si allenava tranquillamente e spesso vedeva un signore passeggiare tra le statue. Un giorno vennero delle persone a dirgli che quel signore lo voleva conoscere. Lui tranquillamente si avvicinò e si presentò a quello che scoprì essere l’onorevole Aldo Moro, ministro degli esteri dell’epoca, di origine pugliese. Cominciarono a parlare e dopo un po’, capendo un po’ la personalità di Pietro, gli disse: “Quando finirai con l’ISEF iscriviti a scienze politiche.” E così fece.

  

Ogni giorno noi tecnici della Scuola d’Atletica dei Marmi entriamo in questo stadio in cui centinaia di ragazzi e bambini si allenano e alzando gli occhi leggono scritto questo nome chiedendoci chi fosse. E’ importante tramandare il suo nome, quale aspetto di Pietro non andrebbe mai dimenticato?

L’umiltà nel fare le cose e il sacrificio. Sapere che con impegno e dedizione si arriva dovunque è fondamentale, lui ne è la prova vivente. Quando si è avvicinato all’atletica subito è stato scartato, troppo piccolino e magro secondo loro. Io ho tutte le agende su cui appuntava i suoi allenamenti dal ’71 all’ ’88 e una cosa che ho notato, come tanti altri più esperti di me, è come lui si allenasse alla fatica. E’ arrivato a quel 19”72 allenandosi ad allenarsi, è questa la differenza con molti altri atleti.

Lui il sogno del record l’ha avuto guardando nel ‘68 la finale di Tommie Smith ai Giochi olimpici. Vedendola continuava a ripetersi “chissà se un giorno…” e dopo undici anni, un centesimo all’anno, è riuscito a migliorarlo, allo stesso modo i ragazzi dovranno prendersi dalla vita tutto quello che potranno.

  

Finita la breve intervista con la signora Olivieri non abbiamo potuto fare a meno di ringraziarla con fiori e applausi proprio sotto questa grande scritta, Pietro Mennea, orgogliosi di essere testimoni e anche noi custodi di memorie di un atleta che ha lasciato il suo nome stampato sulle mura di questo stadio ma prima ancora scritto nei nostri cuori.

 

Lorenzo Minnozzi


Manuela Olivieri Mennea e Gianni Bayram


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