Marcia: quando Damilano prese Roma

26 Aprile 2016

Terza puntata de "La marcia a Roma": oggi ricordiamo il trionfo iridato di Maurizio Damilano ai mondiali del 1987 e la magica domenica allo Stadio Olimpico che racchiuse in poche ore le imprese di Kostadinova, Johnson e Lewis.

Giorgio Cimbrico

Longevo come Golubnichy, modello dell’adolescenza passata a Scarnafigi, non proprio ma quasi. Ed è, in meno di una riga, la vita in marcia di Maurizio Damilano, campione del mondo su suolo italiano e romano sette anni dopo l’oro olimpico di Mosca.

Nella storia dell’atletica italiana l’accoppiata è riuscita solo a lui, a Ivano Brugnetti (dopo lunga attesa e ridiscussione del verdetto di Siviglia) e ad Alberto Cova. E se il brianzolo può mettere sul tavolo anche un titolo europeo, Maurizio ha la facoltà di replicare con il bis mondiale, concesso a Tokyo 1991, a undici anni dalla sua prima volta d’oro. La lotta per il titolo di “campione delle generazioni” è serrata, tutta imperniata sull’asse Ucraina-Provincia Granda.

Maurizio ha vinto il suo primo titolo iridato in una giornata memorabile, un martellante succedersi di emozioni che assunsero la consistenza di flutti che non volevano spegnersi: il pubblico ne fu deliziato ed eccitato. Domenica 30 agosto 1987: chi l’ha dimenticata? Alle 18.40, 9”83 di Ben Johnson (un anno o poco più e quelle robuste ali sarebbero bruciate trascinandolo verso il fondo) e 9”93 di Carl Lewis che con quel tempo sarebbe entrato nella galleria dei recordman mondiali; alle 18.56, 2,09 di Stefka Kostadinova, un record mondiale tanto solido, avviato ai 29 anni, quanto effimero risultò quello del canadese di Giamaica; alle 19.21, Maurizio Damilano che entrò dal boccaporto con la faccia allegra dell’italiano in gita, tanto per citare uno chansonnier e un poeta della sua terra.

Sandro Damilano, fratello e mentore, ha ricordi netti: “Il via alle 18, i viali del Foro Italico, la svolta secca dalle parti dell’Aula Bunker, tutto senza fasi di studio. Subito avanti un gruppetto con Maurizio, i messicani Canto e Mercenario, il russo Mostovik, lo spagnolo Marin, il ceko Pribilinec e Arena. Mattioli era appena dietro, in posizione d’attesa. Attorno al 12° km Mercenario attacca, Maurizio e Mostovik rispondono, rimangono nei pressi e assistono alla squalifica del messicano, mentre Canto, nel frattempo, è saltato per aria. Dopo il 15°, Maurizio è davanti, in solitudine, con mezzo minuto su Pribilinec che finisce forte, così come Mattioli che sarà quinto”. Bella cronaca, secca, essenziale, con qualche fremito di orgoglio che la distanza temporale non riesce a spazzar via.

Il caldo secco di quella memorabile domenica venne rilevato nei giorni a seguire da un letale calore umido: seminò la paura nel finale della prova femminile, all’esordio in un appuntamento globale. Sul rettilineo, molte delle ragazze, disidratate, franarono prima del traguardo, incespicarono nel cordolo, qualcuna finì per rovinare sulle piantine che facevano da arredo. Cadde il silenzio e nel ventre dello stadio venne creato in un lampo un ospedale da campo che accolse le sfinite e le febbricitanti. Il titolo andò alla sovietica Irina Strakhova, davanti a una delle prime “pasionarie” della marcia donne, l’australiana Kerry Saxby dagli orecchini zingareschi.

LA MARCIA A ROMA, i capitoli: 12 - 3

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