Storie di Atletica, Vittorio Savino, l’uomo che inventò l’atletica inclusiva

27 Ottobre 2023

Domenica a Casaluce la prima edizione del Memorial in suo onore

di Campania

Storie di Atletica, 2a puntata, di Ilario Capanna – Il lungo viaggio alla scoperta di fatti e aneddoti di uomini, donne ed imprese legate al meraviglioso mondo dell’atletica leggera, prosegue con la seconda puntata dedicata a Vittorio Savino, l’uomo che inventò e diffuse su scala nazionale il concetto di atletica inclusiva.
Anche questa storia, come nel più classico dei c’era una volta, parte da lontano.
C’è chi dice che sia stato solo un caso e chi invece ipotizza il contrario. Sta di fatto che la scintilla che unisce indissolubilmente Vittorio Savino all’atletica leggera scocca il 20 luglio 1969, lo stesso giorno in cui la missione spaziale dell’Apollo 11 si compie nella sua straordinarietà, e consente agli astronauti statunitensi Neil Armstrong e Buzz Aldrin di mettere, per la prima volta nella storia dell’essere umano, il piede sul suolo lunare.  
Se Armstrong sintetizzò la sua missione con la frase: “Questo è un piccolo passo per l'uomo, un grande passo per l'umanità”,  entrata poi di diritto nella storia delle citazioni, per Vittorio Savino la nascita della Olimpic 69 deve aver avuto lo stesso significato.
Ma il ragazzo nato nel 1955, aveva una personalità già ben definita e quella frase, nel pieno del fermento politico e culturale tra la fine degli anni ‘60 e l’inizio dei ’70, non poteva che essere solo un punto di partenza per raggiungere traguardi ben più lontani.
Presto sarebbe stata accompagnata da un’altra frase passata alla storia, dal significato ben più impegnativo:”I have a dream”. Eh si, perché al giovane Savino non era sfuggito il discorso tenuto da Martin Luther King nell’agosto del 1963 davanti al Lincoln Memorial di Washington alla fine di una manifestazione per i diritti civili.
Ovviamente, per capire meglio la genesi occorre riavvolgere il nastro di qualche settimana. Nel 1969 nascono i giochi della Gioventù e Savino, con i fratelli Fabozzi, Rino Della Rocca, Paolo Nappa, Tonino Crispino e Mimmo De Rosa, decide di partecipare alla prima edizione. Tra le gare in programma all’ippodromo “Cirigliano” di Aversa c’erano anche i 1000 metri e quel ragazzo magro, con gli occhiali ed un occhio bendato come un moderno pirata, stravinse la gara proprio come fecero i suoi compagni di ventura nei 60 ostacoli, nel lancio del disco, nell’alto e nella marcia. Tenete a mente questo momento perché da qui in avanti la vita del “pirata” Savino si interseca con quella di un altro personaggio dalle fattezze “normanne” che partendo da Aversa ha fatto la storia dell’atletica Italiana.
Ma torniamo a noi. Quelle affermazioni accompagnate da un contagioso entusiasmo spingono i ragazzi verso il passo successivo: la creazione di una società sportiva.
Si ma come si fa? Savino, poco più che tredicenne, animato da un fuoco ardente e perpetuo, non si perde d’animo. Di lì a qualche giorno, prende carta e penna e scrive al CONI. La risposta prevedeva un’altra prova da superare: ci voleva un maggiorenne che potesse diventare presidente. Dopo un breve consulto con gli amici di sempre, i ragazzi, sentito il papà di Vittorio, decidono di affidare i ruoli chiave ad Alessandro Bisceglia e Gino Tagliafierro.   
Cosi la società inizia l’attività federale e Vittorio, con il passare degli anni, nonostante qualche acciacco, riesce a diventare anche un buon mezzofondista.
Se ci fosse una scheda tecnica del Savino atleta, questa potrebbe essere la sintesi: ‘Atleta dalle grandi potenzialità, un po’ limitato a causa di qualche disagio fisico che ne moderò l’affermazione in campo nazionale dove comunque non sfigurò. Gareggiò per circa 7 anni, prendendo parte a diverse edizioni dei Campionati Italiani’.
Delle sue imprese sportive ne resterà impressa una su tutte.
Ai campionati italiani indoor di Genova, Savino, impegnato nella staffetta 3x800, riusce a tenere testa all’olimpionico Carlo Grippo, uno dei migliori 800isti dell’epoca.

Soddisfazioni che rimangono impresse nel tempo e nella memoria di chi le ha vissute, e che vale la pena raccontare intorno ad una pizza ed un bicchiere di birra tra amici.

Appese le scarpette al chiodo, per Vittorio l’amore per l’atletica non si esaurisce, anzi, aumenta e si espande come il delta di un fiume in piena.
Allenatore, talent scout, dirigente di società e di federazione sono i ruoli che lo aspettano.
Con lui, accompagnato dagli amici di sempre, l’Arca Atletica Aversa si afferma sempre di più.
Ed è a questo punto che, come accennato più su, la vita di Vittorio si interseca con quella di un altro aversano doc: Tonino Andreozzi.
Eh già, perché il ragazzino che guarda correre il “pirata Savino” sarebbe dventato qualche decennio più tardi l’attuale vice direttore tecnico della Nazionale Italiana di Atletica Leggera.
I due frequentano il Liceo scientifico “Fermi” di Aversa ma formalmente non si conoscono. Una sera, Andreozzi, responsabile delle attività sportive Acli di Aversa, riceve la visita del Presidente Tagliafierro accompagnato da Savino e da Enrico Marino. E’ in quella occasione che Andreozzi si ricorda di quel pirata con gli occhiali che aveva visto correre qualche anno prima. La simpatia tra i due è istantanea cosi come la successiva empatia.
Nel 1976 l’Arca Atletica Aversa punta a partecipare ai Campionati Italiani ACLI. Savino rompe gli indugi e chiede una mano ad Andreozzi. E’ in questo preciso istante che tra i due inizia una storia di profonda amicizia, stima, rispetto reciproco ed empatia, che come ha detto lo stesso Andreozzi,  “Prosegue ancora adesso, nonostante tutto, su frequenze diverse: quelle dell’anima!”.
Insieme, i due costruiscono dal nulla decine di atleti che compongono una squadra altamente competitiva. Non se ne rendono conto ma a loro insaputa scoprono ex post di essere la prima società della Campania. Di questa “inaspettata sorpresa” rimane l’espressione che i due condividono con una fragorosa risata: “Che ….. abbiamo combinato”
Basti pensare che ai Giochi della Gioventù di Salsomaggiore, le ragazzine di Aversa e dintorni, alla loro prima gara a livello nazionale, riescono ad arrivare sul podio piazzandosi sorprendentemente al secondo posto.
Quelle ragazzine col tempo diventano atlete di livello nazionale ed internazionale, consacrando il duo Savino-Andreozzi nel gotha del mezzofondo italico. Maria Pia Pagano, la prima a vincere un titolo italiano per l’Atletica Aversa; Giovanna Tessitore (suo quel 9’29” che per tanti anni è stato record italiano under 18 sui 3000 metri;  Maria Teresa Tonziello, pluri vincitrice di titoli italiani e collezionista di tante presenze in Nazionale; Silvana Andreozzi, che vinse un’edizione dei campionati italiani outdoor su 800 e 1500, Loredana Brusciano e cosi via. Ma Vittorio Savino vuole andare oltre il mezzofondo e, armato di pazienza e determinazione, porta un altro ragazzo del luogo, Giovanni Mondanaro, a vincere un titolo italiano nel lancio del martello.
Passano gli anni e come spesso accade, i personaggi, quelli veri, non li puoi ingabbiare in un solo ruolo. E cosi, con il passare del tempo, diventato prima medico, poi marito di Angela Di Gioia, compagna di tutta una vita e padre di tre figli, il Vittorio atleta e poi tecnico si trasforma nel Savino Dirigente sportivo. E che dirigente!
Da Presidente del Comitato Campania fino a ricoprire incarichi nazionali, come Consigliere FIDAL, presidente della Commissione Nazionale Antidoping, ed internazionali in seno alla IAAF, l’attuale World Athletics.

Una carriera di primissimo livello condotta nel quotidiano con l’umiltà tipica dei grandi uomini.

A lui si devono alcune tra le più intuitive e rivoluzionarie novità del mondo dell’atletica giovanile che ne hanno fatto, come ha sottolineato Tonino Andreozzi,  un vero e proprio “visionario pioniere avanguardista” dell’atletica inclusiva, sia a livello promozionale che master.
Se oggi i ragazzi di passaporto non italiano ma nati in Italia, con formazione scolastica italiana, usi, cultura e costumi italiani, regolarmente tesserati per le società italiane, possono competere per il titolo tricolore giovanile lo si deve ad una sua intuizione trasformata poi in regolamento federale.
Per Savino, come ha spiegato il Presidente della Fidal Campania e amico fraterno Bruno Fabozzi, l’atletica leggera non doveva essere ingabbiata nel solo agonismo ma doveva, altresì, diventare un luogo in cui includere tutti senza distinzione alcuna. Diversamente dalle tante meteore autoreferenziali che attraversano il nostro variegato mondo solo per rincorrere il proprio ego, lui ha inteso mettere nero su bianco il suo pensiero, mantenendo sempre la schiena dritta. I suoi must erano il coinvolgimento costante ed integrale del mondo della scuola; il rifiuto e lotta al doping; la valorizzazione dell’attività master, sia stadia che non stadia; la diffusione dei valori positivi dello sport. E’ questa la sintesi concettuale del suo operato come dirigente sportivo.
Un patrimonio immenso di umanità e di generosità, messo gratuitamente a disposizione di tutti, condiviso ed ammirato dalla stragrande maggioranza delle persone ma che in taluni casi ha generato anche squallide reazioni di invidia in quei “personaggetti improbabili” in cerca di autore e di qualche spicciolo per campare, che spesso si trovano in luoghi che non dovrebbero occupare. Del resto è noto che l’invidia è un’emozione umana generata dal desiderio di avere ciò che non si ha.
Eppure, nonostante il male gratuito ricevuto, Vittorio li perdonava in automatico, come solo i grandi sanno fare.
Nello scrivere questa storia, oltre ad attingere ai ricordi di una conoscenza diretta, ahimè durata troppo poco, ho parlato con alcuni dei suoi amici storici tra i quali oltre ai sopra citati Fabozzi e Andreozzi, il figlioccio di sempre, Carmine Gambino, ed ho provato a mettere insieme aneddoti che più di ogni altra cosa potessero descrivere in modo naturale e razionale l’uomo ed il personaggio, che poi nel suo caso erano un tutt’uno.
Dalle auto consumate per amore dell’atletica, acquistate rigorosamente in versione station wagon, utilissime a portare i ragazzi in trasferta ma magari lontane dai canoni di bellezza di una berlina familiare.
All’inclusività. A partire dalla scelta del nome della società, Arca Aversa che rappresenta il concetto stesso di aggregazione. Una volta in una gara su strada, all’atto dell’iscrizione disse ad un giudice. Può iscrivere Falco, Elefante, Maiale e Palomba? Il giudice un po’ piccato chiese: mi state prendendo in giro? Savino rispose: assolutamente no, noi siamo l’Arca! Suscitando una fragorosa risata collettiva, giudice incluso...  
All’amore sconfinato per l’attività agonistica e la perfezione del gesto atletico a cui, tuttavia, faceva da contraltare il suo trascorrere ore sul campo in compagnia di ragazzi che per caratteristiche fisiche non avrebbero mai avuto il contatto con l’agonismo.
Alla lealtà e al merito. Il rifiuto della scorciatoia e del compromesso tout court, dell’arrivismo fine a sé stesso al quale ha sempre preferito il sacrificio del lavoro quotidiano frutto del proprio intelletto e della ferrea volontà.
Alla generosità. Difficile trovare qualcuno che sia stato capace di offrirgli una cena o semplicemente un caffè perché tanto, alla fine, doveva offrire sempre lui.
Al carattere, croce e delizia degli uomini migliori. Alzi la mano chi non ha litigato con lui almeno una volta salvo poi vedersi accogliere con un sorriso spontaneo e sincero come se nulla fosse accaduto oppure ricevere una telefonate con il più classico: “vuagliò comm stai?”. Si perché Vittorio non serbava rancore. Non ne era capace.
All’empatia. Nell’esatto istante in cui parlavi con lui avevi la consapevolezza di trovarti di fronte uno che capiva come stavi, che ti comprendeva all’istante ed era disposto ad aiutarti anche se si trovava egli stesso in difficoltà.
Il rammarico. C’è un solo unico grande rammarico per l’atleta, il tecnico, il dirigente ed il cittadino Vittorio Savino: la pista di atletica leggera ad Aversa. Chiesta ed invocata per 50 anni ma mai realizzata per evidente volontà politica, nonostante l’impegno spasmodico di Paolo Santulli, un altro suo amico storico, attualmente presidente onorario e già presidente dell'Atletca Aversa. L’amministrazione comunale di Aversa ha votato per intitolargliela ma a più di un anno dalla sua scomparsa, della tanto sospirata pista, non c’è neanche l’ombra.   
Insomma: Vittorio era tutto questo! L’entusiasmo, il sogno, il merito e la condivisione.
Circa un anno fa, parlando con Bruno Fabozzi, mi colpì una frase con la quale il presidente di Fidal Campania dopo una chiacchierata farcita di bei ricordi mi salutò: “Se al mondo ci fossero più Vittorio Savino, il mondo sarebbe un posto migliore”.
Beh, credo che sia la frase perfetta per concludere questa seconda puntata. Domenica al Kartodomo di Casaluce si svolgerà la prima edizione del Memorial Savino, valevole come campionato regionale di corsa sui strada riservato alla categorie promozionali. Proprio quelle categorie per le quali lui tanto ha fatto.
 


Vittorio Savino, la pista di atletica ed i suoi ragazzi


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