Ludovica rilancia

29 Ottobre 2016

"L'atletica raccontata", a cura di Orlando Del Grosso

Apriamo la rubrica “L’atletica raccontata”, parlando con Ludovica Montanaro, campionessa italiana 2016 di getto del peso, categoria Cadette. Ludovica è tesserata con la Pietro Mennea Atletica Chieti ed è allenata dal papà Lucio Montanaro, ex pesista di alto livello con un trascorso sportivo nelle Fiamme Gialle. Arrivata ai Campionati Italiani di Cles (TN) con i favori del pronostico, da capolista nazionale del Peso  (lo è stata per molti mesi anche del Disco), con record regionali eguagliati e migliorati in entrambe le discipline, Ludovica non ha tradito le aspettative. Con un primo lancio da 13,09 metri, ha presto chiuso i conti con le avversarie e messo in cassaforte il titolo nazionale. Facile a dirsi, difficilissimo a farsi. Clima sfavorevole, pedana bagnata, la giusta e normale emozione che una ragazza di 15 anni ha nell’affrontare le gare, soprattutto se di livello; il pensiero che tutti sperano in una tua medaglia e che tu stessa la desideri con tenacia. Insomma, una serie di fattori che, nell’analisi di un risultato, dovrebbero essere sempre messi in conto. Fatta questa doverosa premessa, lasciamo che sia Ludovica a parlarci di lei, come atleta e, soprattutto, come ragazza che vive l’esperienza dello sport.


Ciao Ludovica, complimenti per il fantastico risultato ottenuto a Cles. Hai realizzato quello che ti è successo? Quando hai capito che eri campionessa italiana? È stato difficile mantenere il pronostico? Descrivici le emozioni che hai provato e che stai provando.
A dire la verità, non ero molto agitata per la gara, sapevo quali erano le mie possibilità e sapevo anche che gli accrediti non contavano. Stavo per disputare la gara più’ importante della stagione: il campionato italiano di categoria, e detenevo la migliore prestazione. Detto questo, sono entrata in campo tranquilla, ma con molta grinta e adrenalina in corpo. Il mio obiettivo era quello di chiudere la gara al primo turno di lanci e far vedere a tutti  ciò di cui sono capace. Così ho fatto 13,09 metri al primo lancio, misura che mi ha permesso di vincere la gara. Anche se ho cercato di migliorarmi - il quarto lancio, se non avessi fatto nullo di pedana, sarebbe stato il mio nuovo personale e di conseguenza il nuovo record regionale- sapevo in cuor mio che il titolo italiano già mi apparteneva. Potrò sembrare molto presuntuosa e ambiziosa, ma questa è la verità. Ora come ora non mi capacito di aver vinto, ma non mi accontento, non mi accontento mai.

Quali sono i sacrifici che hai dovuto affrontare per raggiungere questo obiettivo? La scuola, gli amici, l’atletica,  gli altri interessi, è difficile gestire tutte queste cose? Qual è la tua ricetta?
Ho dovuto fare molti sacrifici, è vero, ma non sono stati eccessivi. Sono stati sufficienti quattro allenamenti settimanali e tanta voglia di vincere per arrivare alla meta. É stata dura rimanere a casa o al campo mentre i miei amici uscivano, ma questa è stata una mia scelta. Per quanto riguarda la scuola, riesco ad organizzarmi alla grande, studio sia prima sia dopo la seduta di allenamento, i compiti sono l’ultimo dei miei problemi. Il weekend invece lo trascorro interamente  fuori casa.

Sappiamo che tuo padre è anche il tuo allenatore, molti atleti sono stati o sono allenati da un genitore, Howe e Giammarco Tamberi per citare due casi famosi, com’è essere allenati dal papà? Pesa essere una figlia d’arte?
Ringrazio infinitamente papà per tutta la pazienza che ha avuto con me e per avermi dedicato tanto tempo prezioso. Grazie papà! Essere allenati dal proprio padre è un’arma a doppio taglio. E’ bello, c’è’ feeling, ma dentro lo stadio lui è il mio allenatore. Mi conosce perfettamente e io capisco immediatamente ciò che vuole dire. È esigente, preciso, meticoloso non lascia nulla al caso. Mi piace essere figlia d’arte, tutti mi conoscono per essere “la Montanaro”, ma d’ora in poi spero che si ricordino di me per le mie prestazioni!

Nell’immaginario collettivo il lanciatore è ancora un “ragazzone/a” dotato di grande forza, ma poi arrivi tu, come altre tue colleghe, che invece sfoggi un fisico da modella e la velocità di una sprinter. Come si arriva a scegliere di essere una lanciatrice? Cosa diresti ai profani per far capire cosa significa essere una lanciatrice?
Questi stereotipi non sono per niente corretti. Io sono l’esempio vivente che un lanciatore non deve essere per forza un energumeno.  I lanci si basano su agilità, velocità, coordinazione, potenza, esplosività e, soprattutto, grinta da vendere. Sul podio quest’anno eravamo  delle bellissime ragazze per nulla appesantite. Cari ragazzi, se volete “darvi ai lanci”, buttatevi, osate, non abbiate paura di essere troppo esili!!!

Il prossimo anno passerai di categoria, continuerai a lavorare per entrambe le specialità o ti dedicherai maggiormente ad una delle due? Quali sono i tuoi obiettivi per la prossima stagione?
Continuerò ad allenarmi in tutte e due le specialità (peso e disco), anche se mi duole dirlo: ho un debole per il disco. Nel 2017 punto a dare il meglio visto che farò un passaggio di categoria e voglio, ripeto voglio, abbattere i record regionali in entrambe le specialità e salire sul podio degli italiani. Lascio a voi immaginare. Ma l’obiettivo primario è il minimo per i mondiali. Voglio riuscirci e, pertanto, mi metterò all’opera sin da ora. Volere è potere, questo è il mio motto in ogni cosa che faccio.

Chiudiamo la nostra intervista con un gioco. Ti consegno virtualmente una lampada di Aladino con cui puoi esprimere tre desideri da indirizzare alla FIDAL. Cosa chiederesti?
É molto difficile chiedere solo tre cose, una lampada intera non mi basterebbe. Per prima cosa voglio che i lanci non siano messi da parte, quasi emarginati, perché sono una specialità che richiede impegno, esattamente come le corse. Il secondo desiderio è che si costruiscano più impianti sportivi per allenarsi d’inverno e, come terzo desiderio, chiedo altri tre desideri: premiare tutti gli atleti che si sono distinti solo e soltanto in base al merito, è sempre meglio ripeterlo! Rimettere il raduno di Pescara (l’annuale Campus ndc), perché è l’unico modo per noi atleti di vederci e stare insieme. Infine, chiedo alle squadre di investire sulla crescita degli atleti e di non perdere mai quest’obiettivo, per me fondamentale.

                                                                                         O.D.G.

 

  



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