L'atletica italiana piange per la morte di Pietro Mennea: la "freccia del sud" non c'è più.



Ad appena 60 anni si è spenta a Roma la “freccia del sud”, Pietro Mennea, indimenticabile campione dell’atletica leggera già primatista mondiale dei 200 metri piani, quel 19.72 realizzato a Città del Messico il 12 settembre 1979. Ma Mennea fu anche oro olimpico a Mosca nel 1980, campione europeo dei 100 e 200 metri a Praga nel 1978 e dei 200 metri a Roma nel 1974, il primo dei suoi grandi successi. Di lui, che era nato a Barletta il 28 giugno del 1952, ricordiamo le epiche sfide col sovietico Borzov e col britannico Wells. Appese le scarpette al chiodo, Mennea, laureato in Giurisprudenza, e poi anche in Economia e Commercio, Biologia, Letteratura Italiana, Biologia e Scienze Motorie, ha lavorato come avvocato civilista e penalista non dimenticandosi del mondo dello sport. Stakanovista nella vita civile, così come lo era da atleta, ha prodotto numerosi saggi e libri (almeno 8 negli ultimi dieci anni) ed è stato paladino della lotta al doping, di sicuro più ascoltato all’estero di quanto non lo sia stato in Italia. Lo ricordiamo ad Iglesias, nel 1993, quando nell’aula magna dell’Istituto Minerario presento il suo libro su Doping e Comunità Europea. In quell’occasione parlò a lungo anche delle strategie di utilizzo e resa degli stadi, che lasciati al solo evento sportivo rappresentavano per lui una grossa spesa di difficile ammortizzamento. Li vedeva completati con negozi, ristoranti e grandi magazzini. Le sue parole – anche in questo caso - hanno attecchito più all’estero che non in Italia, dove sono rimaste per lo più inascoltate.


In Sardegna Pietro aveva molti amici e tra questi siamo riusciti a contattare Angelo Cherchi, suo coetaneo, già velocista dell’Esperia, che Mennea incontrò in pista, battendolo, ai campionati italiani allievi del 1968 all’Arena di Milano in una finale alla quale presero parte anche Franco Ossola e Luigi Benedetti. “Per me è morto un fratello”, dice Chechi, “perché i nostri rapporti si erano sviluppati ben al di là dello sport”. Cherchi, infatti, è stato curatore dell’editing di numerosi libri di Mennea, anche dell’ultimo che uscirà tra breve e riguarda la scuola dei velocisti giamaicani. E’ proprio Angelo Cherchi a raccontarci della malattia di Mennea: “L’estate scorsa si è fatto operare per dei calcoli della colecisti e probabilmente in quell’occasione i medici si sono accorti che qualcosa di più impegnativo l’aveva aggredito. Ma lui si è ritirato nel silenzio, da quella persona schiva che era, e non ne ha parlato. Dieci giorni fa l’ho chiamato al telefono, al pomeriggio. Lui, che non era solito fare il riposino, mi ha risposto in ritardo rispetto al solito, con la voce sonnacchiosa. Mi ha confessato di essersi assopito ma che tutto andava bene. Piuttosto ha manifestato la sua preoccupazione per le condizioni di salute della moglie. Invece ho capito che qualcosa, anche per lui, non andava per niente bene e oggi mi ha raggiunto questa tragica notizia. Io oggi piango per la morte di un fratello, ma so di non essere il solo, perché Pietro aveva seminato affetto e amicizia ovunque”. Una camera ardente verrà allestita al Salone d'Onore del CONI, a Roma, al Foro Italico, proprio di quel CONI che non l’ha mai voluto ai vertici nazionali.



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