Berlino, zero medaglie per l'Italia: cosa ne pensate ?



Ecco qua il medagliere impietoso dei Campionati Mondiali di Atletica di Berlino, nel quale l’Italia è a zero. Sono 37 le nazioni che hanno conquistato almeno una medaglia di bronzo e fra queste piccole nazioni come Cipro (1 argento), Eritrea (1 argento), Estonia (1 bronzo); a livello più elevato di titoli e medaglie, dopo gli Stati Uniti, grandi protagoniste sono state le nazioni caraibiche o centro americane (non solo Giamaica, prima nel medagliere, ma anche Cuba, Barbados, Trinidad e Tobago, Bahamas, Panama, Puerto Rico, Messico) che sfruttano, a parte Cuba, specifici specialità come velocità e salti e africane (Kenia, Sud Africa, Etiopia, la citata Eritrea) con il mezzofondo, a cui vanno aggiunte Bahrain e Qatar con gli atleti africani di importazione. Lo zero dell’Italia è acuito dallo constatare che altri paesi europei, tralasciando ovviamente le potenze Russia, Gran Bretagna e Germania, anche se con buona tradizione atletica, come Polonia (8 medaglie) e Spagna, ma pure Norvegia, Croazia, Slovenia, Repubblica Ceca, Irlanda, Portogallo, Romania, Slovacchia, Turchia, le citate Cipro ed Estonia hanno avuto atleti sul podio. Meglio dell’Italia, ma comunque modesta la posizione della Francia (3 medaglie senza nessun titolo), come gli azzurri a zero medaglie ci accompagniamo, fra le altre nazioni di un certa tradizione atletica o emergenti, a Finlandia, Svezia, Grecia, Ucraina, Bielorussia, Marocco, Nigeria, Brasile. Completano il quadro delle nazioni medagliate le asiatiche Cina e Giappone, il Canada e il duo Australia e Nuova Zelanda.  E’ andata un po’ meglio la classifica per quanto riguarda i finalisti (primi 8) che vede l’Italia al 19° posto con 2 quarti posti (Rubino e Di Martino), 2 sesti posti (Cusma e 4x100), 2 settimi posti (Weissteiner e Gibilisco), 2 ottavi posti (De Luca e Claretti). Questa classifica vede al 1° posto gli Stati Uniti, davanti a Russia e Giamaica e conta 62 nazioni che hanno classificato un atleta nei primi 8 (circa il 30% di quelle presenti). Tra le nazioni, atleticamente paragonabili alla nostra, la Polonia è all’8° posto, Francia al 12° e Spagna al 14°.

Fatto il punto statistico di podi e piazzamenti di Berlino, permane la consapevolezza di un risultato insoddisfacente.

 

Per analizzare Berlino e il futuro della nostra atletica abbiamo pensato di dare spazio ai pareri di alcuni amici dell’atletica leggera dell’Emilia Romagna, che abbiamo rintracciato oggi nel web. Pubblicheremo altri contributi che eventualmente ci perverranno.

 

Luca Zanelli (dirigente e tecnico di società): “L’insucesso di Berlino è dovuto alla mancanza di mentalità: troppi atleti convocati si sono accontentati della convocazione e non si sono espressi realmente per quello che sono i loro valori, non occorre fare nomi ma alcuni di questi potevano sicuramente aspirare alla finale mentre hanno fatto prove abbastanza deludenti, in sostanza non ci hanno creduto. E quando sei in queste competizioni e non solo indossi la maglia AZZURRA ma rappresenti un grandioso movimento come l'atletica italiana, dovresti mettercela tutta e tirare fuori grinta e artigli, non accontentarti.

Questa mentalità va inculcata ai tecnici, ma non quelli già arrivati, già appagati, ma a quelli più giovani, investire giornate di aggiornamento generale e specifico in aula, in pista e nelle pedane come si faceva tanto tempo fa. Ricominciare ad allenare gli atleti secondo la cultura del lavoro, allargare i minimi per i raduni territoriali è la cosa primaria. Progettare iniziative che conducano i giovani studenti verso il nostro bellissimo sport (tipo il Trofeo Deggiovanni che facciamo a Lugo da 30 anni). L'atletica è lo sport di tutti, non solo dei più bravi....la Federazione deve essere parte attiva nello svolgimento di tutte le competizioni regionali e nazionali, non parte assente. Rivogliamo un'atletica che sia amata da tutti."

 

Christian Mainini (giudice di atletica): “Credo che nei prossimi anni non possa che peggiorare questa difficile situazione dell’atletica, anche perchè i tecnici diventeranno sempre più delle chimere (come i giudici), dato che il nostro sport non permette di dare grosse cifre a nuovi giovani tecnici costretti a indirizzarsi verso discipline più remunerative. In sostanza l'orizzonte lo vedo assai grigio.“

 

Gianni Lacerenza (tecnico): “Il mio punto di vista per migliorare la situazione è in sostanza molto semplice da attuare:

1) prendere come riferimento le società che funzionano (p.e. come a Modena);

2) istituire uno staff tecnico dirigenziale che possa seguire le società nello svolgimento delle loro mansioni nel miglior modo possibile, andando in loco almeno una o due volte al mese, creando un rapporto di collaborazione per non emarginare gli atleti, ma soprattutto per controllare lo stato della società (molto spesso ognuno cura il suo orticello);

3) reintrodurre i Giochi della Gioventù;

4) fare raduni regionali e raduni nazionali meno costosi per un maggior numero di atleti. Non c'è bisogno di andare in Namibia in 10 quando puoi andare in Sicilia portandone molti di più;

5) ricordarsi che per l’ atletica leggera in Italia sono essenziali i gruppi sportivi militari, a cui non bisogna mettere il bastone tra le ruote alle stesse e anzi occorre agevolarle;

6) collaborazione e confronto.

 

Luca Bertoli (dirigente e tecnico di società): "Nel nostro paese, la moda, il marketing, il sapersi vendere è molto importante per qualsiasi attività.
Ora ci sono piscine che non riescono ad accontentare tutte le richieste di genitori che vogliono iscrivere i loro piccoli ai corsi di nuoto, magari anche solo perchè hanno visto su di un giornale di gossip la coppia Marin-Pellegrini che si presentano bene e sembrano il ritratto della salute. Posso assicurare a chi non è avezzo che il nuoto fatto seriamente non è meno faticoso del fondo e mezzofondo e non dà molte possibilità di socializzare in vasca visto che rimane sempre uno sport individuale.
Io ho avuto la fortuna di avere un insegnante alle medie che pur svolgendo nel tempo libero l'attività di tecnico in una squadra di calcio in eccellenza, durante l'autunno, in inverno ed in primavera, nelle due ore settimanali di educazione fisica, imponeva a tutti gli alunni prove di velocità, corsa campestre, lanci e salti; annotava tutto su di una voluminosa agenda, poi ad aprile i migliori venivano convocati e partecipavano ad alcuni stages pomeridiani dove uscivano i 12-15 atleti selezionati per i giochi della gioventu' fase provinciale: ogni anno Reggiolo presentava una squadra competitiva in rapporto alle potenzialità di una scuola con circa 60-70 alunni maschi per classe di età.
Purtroppo ora mi risulta che a scuola si facciano un sacco di attività ma in pochi casi tra queste c'e' anche il nostro sport. Il presidente Arese, visibilmente imbarazzato davanti ai microfoni di Marco Lollobrigida, purtroppo non puo' intervenire sul sistema scolastico.
Ritengo altresì che ai nostri atleti di elitè sia permessa una condotta poco professionale; al di là di personaggi dotati di una abnegazione e capacità di sacrificio fuori dall'ordinario ( mi vengono in mente i marciatori a Saluzzo, oppure la Di Martino, Gibilisco, Baldini, la Cusma..) ci sono un sacco di giovani promettenti e alteti di fascia medio alto cui è consentito starsene a casa proprio, con lo stipendio pagato dal contribuente, e magari solo l'obbligo di presentarsi in condizioni accettabili ai campionati di società. Oggi la maggior parte degli atleti dei clubs militari è libero di scegliersi da chi farsi allenare, dove allenarsi e a quali gare partecipare: pero' lo stipendio lo paga Pantalone...e non vi dico quanto costano alla federazione ed ai clubs quando iniziano gli infortuni e gli interventi del chirurgo...
Un altro dato su cui riflettere: a Berlino erano pesenti diversi tecnici italiani molto qualificati, molti lavoravano per federazioni straniere anche come capi settore, altri seguivano atleti trapiantati o di passaggio nel nostro paese; la maggior parte erano del settore fondo e mezzofondo; forse alcuni di questi si umilierebbere a seguire anche i nostri se il loro impegno e passione venisse remunerata anche a livello economico: invece in pista ho visto il volenteroso Meucci che sta sprecando il suo discreto talento a metà via tra la strada, le mezze maratone e le campestri, il giovane Rifesser, e il non più giovane Obrist che a 22 era a ridosso delle medaglie a Monaco 2002 ed ora anche a ritmi da 3'42" nei 1500 non è competitivo.
Le zero medaglie non rappresentano il nostro movimento, sicuramente nei prossimi appuntamenti faremo un risultato migliore, però ritengo che ora potrebbero dare la giusta sferzata ad un ambiente un po' sonnacchioso appoggiato sui vecchi allori."
 

Umberto Iotti (dirigente e tecnico di società): "La prestazione pressochè mediocre dei nostri atleti ai Mondiali di Atletica Leggera affonda le sue radici su una cultura sportiva che da anni sta radicalmente cambiando nel nostro paese. Se in altri sports (vedi nuoto) ci difendiamo ancora per qualche individualità notevole, nel "nostro" scontiamo più di altri la tendenza ad essere sportivi sedentari (guardare sport alla Tv anzichè praticare sport) dei nostri giovani.
Se pensiamo che nelle statistiche del nuoto mettono come praticanti quelli che vanno in agosto a nuotare al mare e non fanno altro durante l'anno e nell'atletica vengono inseriti quelli che vanno a camminare come podisti nei parchi la domenica, vediamo che i dati ufficiali sull'aumento della pratica sportiva che ci vengono presentati sono tutti da interpretare. Di fatto i giovani che praticano veramente atletica leggera sono in costante calo.
Nella scuola non si fa niente per incentivare la pratica sportiva (oppure, se lo si fa, è spesso con intenti non agonistici per la falsa idea di non discriminare i meno dotati); nella vita di tutti i giorni la pratica sportiva viene dopo le mille altre attività che i ragazzi devono fare (ovviamente scuola in primis, ma anche corsi vari di ogni tipo imposti proprio dalla scuola stessa per ottenere pochi "crediti" oppure corsi vari di musica o di llingue o di vario altro tipo che i genitori vogliono far frequentare ai propri figli per far vedere che sono "impegnati").
Se si viene al campo, almeno nelle città, lo si fa per muoversi un po' e non più di 2 volte la settimana perchè il ragazzo "non ha tempo" oppure "si stanca".
Crescendo non è che cambi la situazione perchè la presenza del computer e dei vari social network, se valida da un certo punto di vista, diventa deleteria per le troppe ore giornaliere passate proprio davanti al video anzichè in un impianto sportivo.
Questo sistema deprime maggiormente la crescita di giovani mezzofondisti che, più di altri, devono fare della costante presenza al campo la loro scelta di vita sportiva (con relativi "sacrifici", parola strana per i giovani di oggi) per poter crescere decentemente.
Venendo invece direttamente ai pochi atleti che sono riusciti ad emergere a livello nazionale ci troviamo davanti ad uno strano fenomeno di "soddisfazione", subito dopo l'ottenimento del "minimo", come da obiettivo raggiunto prima ancora di pensare che l'obiettivo da raggiungere deve essere poi il migliorarsi nella manifestazione di livello internazionale. E speriamo sempre in poche individualità che salvino la baracca delle medaglie.
A volte siamo bravini nei meetings, magari di scarso livello, ma non riusciamo ad emergere nei Mondiali o nelle Olimpiadi perchè pressati dalla necessità di fare qualcosa che si sa già non ottenibile ed allora abbiamo le classiche controprestazioni che vediamo abitualmente, condite da varie scuse più o meno valide (tipo "la qualificazione di mattina mi ha tolto motivazione", perchè gli altri la qualificazione la fanno di pomeriggio?).
Non sto a sindacare più di tanto sulla presunta inadeguatezza dei tecnici perchè si parla dello sport quasi meno "rimborsato" tra tutti, quindi i tecnici fanno anche miracoli con le loro presenze molto spesso volontarie e post lavoro ordinario poi, soprattutto, considerando che molti dei migliori atleti mondiali, mezzofondisti keniani compresi, sono ora allenati da tecnici italiani che, evidentemente, qualche dote devono pur averla oltre a quella di trovare talenti all'estero.
Si potrebbero trovare altre ipotesi, ma il discorso diventerebbe troppo lungo e si potrà, spero, sviluppare in altra occasione."      

Giorgio Rizzoli



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