Una storia al giorno

29 Dicembre 2013

Personaggi e vicende dell'atletica di sempre

29 dicembre. L’anniversario, il 37°, della morte di Ivo Van Damme su una strada del Midi francese - a Orange, non lontano da Marsiglia, dove aveva appena finito un periodo di allenamento invernale – offre la tragicità di un bilancio, invita alla creazione di un lied, di una canzone, dei campioni morti nella casualità di una frenata, di un impatto, nel fulmine di una tragedia, di un rapimento. Prima di Ivo, Steve Prefontaine; dopo, Bronislaw Malinowski, e poi Wladislaw Komar e Tadeusz Slusarski, seppelliti uno a fianco dell’altro, sotto due lapidi spezzate che rappresentano vite rubate.

Van Damme starebbe per entrare nei 60 anni, ne aveva 22 quando se ne andò. Aveva un aspetto formidabile, quasi minaccioso con quello sguardo fiero, con quella barba da esperto nocchiero, sapeva che sarebbe arrivato lontano. “Per battermi, è necessario il record del mondo”, disse prima di partire per Montreal. Aver strappato vent’anni dopo a Roger Moens il record belga degli 800 (che era stato record del mondo e prima discesa sotto 1’46”) lo aveva riempito di fiducia, di forza. Alberto Juantorena lo prese in parola: 1’43”50. Ivo finì secondo in 1’43”86.

Secondo fu anche sei giorni dopo, in uno dei più selvaggi arrivi dei 1500 olimpici, una soluzione così drammatica da far dimenticare l’assenza degli africani: il kiwi John Walker ebbe la meglio per dieci centesimi sul belga che, a sua volta, la spuntò di 6 sul tedesco Paul Heinz Wellmann, di 24 sull’irlandese Eamonn Coghlan, di 38 sul britannico Frank Clement. Ivo sentiva di essere più ottocentista che migliarolo ma sulla strada che portava verso i Giochi canadesi anche su quella distanza aveva stampato il cambiamento nell’albo delle federazione belga: quel 3’36”26 avrebbe tenuto vent’anni.

Al ritorno in patria Van Damme venne festeggiato come un eroe. Ne fu compiaciuto ma disse che essere il numero due non lo accontentava. “Ai prossimi Giochi sarò il numero uno”. E diede ancora forti segni di sé con l’1’44”02 di Zurigo, con 1’44”09 di Colonia. Nessuno pensò che sarebbero stati il suo testamento, il suo addio. Il Memorial che porta il suo nome nacque all’indomani della sua morte, su iniziativa di un gruppo di giornalisti di Bruxelles che lo avevano visto crescere. E toccò a Wilfried Meert trasformare quel sincero e commosso omaggio in quello che è diventato: per spessore di risultati e per pubblico folto, uno dei più grandi meeting del circuito. Spesso il più grande.

Giorgio Cimbrico

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