Una storia al giorno

26 Dicembre 2013

Personaggi e vicende dell'atletica di sempre

26 dicembre. La chiamavano Golden Girl, la chiamavano anche la fidanzata d’Inghilterra e scorrendo vecchie immagini, Lillian Board appare per quel che era: una britannica baciata dal sole del Sudafrica dov’era nata, bella di una bellezza semplice, solida come una statua, senza pretese di divinità. Non era ancora il tempo della Rose of England.

Stereotipi vogliono che nei giorni di festa non si indulga a tristezze, ma per una volta sarà bene trasgredire alla consegna e ricordarla in questo giorno di S. Stefano protomartire, 43° anniversario della sua scomparsa. Ne aveva 22, ne avrebbe 65. Martirizzata dal cancro, privata della vita, di quel che aveva saputo fare, di quel che avrebbe saputo fare.

Ne aveva 19 quando a Mexico City cedette l’oro dei 400 per un paio di palmi a Colette Besson, ne aveva 20 quando al Pireo divenne campionessa europea degli 800 e fu una delle “gambe” della 4x400 britannica che unì corona continentale a record del mondo: per Lillian, una parziale vendetta sulla bruna e zingaresca Colette, in fondo a un entusiasmante testa a testa. I primi dolori allo stomaco cominciarono a tormentarla in quei giorni di gloria al vecchio Karaiskakis. Quando capirono cosa l’aveva colpita, era troppo tardi: chi appartiene alla stessa generazione di Lillian, ricorda le sue immagini nella crudeltà di un com’era e come diventò in pochi mesi di sofferenze. Uno spettro. Rimanevano i grandi occhi, una specie di sorriso estenuato.

Combattè, provò, si affidò anche alla speranza, al sogno di un miracolo  in quella clinica sulle Alpi Bavaresi dove un controverso medico praticava una controversa cura. Non servì a niente e quando la portarono a Monaco di Baviera tutto era compiuto: entrò in coma la vigilia di Natale, morì il giorno di S. Stefano. David Emery, il fidanzato, scrisse un bel libro pieno di dolore, di rimpianto, e decise che il titolo dovesse un soffio: “Lillian”.

Finì per trasformarsi nello struggente strumento per ripercorrere una vita breve, le sue scelte, il suo entusiasmo che la portò a lasciare il salto in lungo (la seguiva Mary Rand, sicura che quella ragazzina avesse stoffa) per le 100 yards, le 220 yards, i 400, a provare gioia e rimpianto per quanto aveva combinato nel suo ’68 messicano, a scegliere gli 800 finendo, in una delle sue prime esperienze, sulle tracce di una Vera Nikolic da record del mondo, a pensare che in futuro per lei le sfide avrebbero potuto coinvolgere le distanze sulle quali le donne finalmente potevano affacciarsi. La sua clessidra conteneva poca sabbia.

Lillian è un’antica ombra che non ci ha mai lasciato e chi ancora la ricorda, oggi potrà provare punture  accennate di un antico dolore.   

Giorgio Cimbrico

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