Una storia al giorno

22 Ottobre 2013

Personaggi e vicende dell'atletica di sempre

22 ottobre. L’ottavo anniversario della morte di Silvano Meconi è anche una commossa occasione per rivedere, uno dopo l’altro, i giganti toscani e fiorentini, eredi dei modelli di cui Michelangelo si servì per scolpire prigioni, schiavi ribelli e il David che l’artista non volle fanciullo come Donatello o Verrocchio, ma colossale. Buonarroti racconta che andava a cercarli nelle botteghe dei fabbri, nelle officine dei bottai, per schizzarne la potenza, il guizzar dei muscoli: tutto quello che era movimento sarebbe entrato nella staticità dinamica del marmo.

Il peso italiano è una faccenda toscana, fiorentina, in un succedersi di nomi che finiscono per formare una dinastia e una casa della gloria. Per dirla in maniera biblica, Angiolo Profeti generò Silvano Meconi, Silvano Meconi generò Marco Montelatici, Marco Montelatici generò Alessandro Andrei, in un allungarsi di parabole e di tonfi sull’erba che portò le 16 libbre della palla di cannone dai 15 metri o poco più sino a sfiorare i 23.

Profeti veniva da Castelfiorentino, Meconi passava per essere gigliato purosangue ma in realtà era nato in territorio etrusco: Cortona, Arezzo, dicevano i documenti, ma l’approdo nel capoluogo-capitale avvenne in giovane età. All’esordio degli anni Cinquanta il tramonto di Angiolo, argento gi Europei di Bruxelles, divenne l’alba di Silvano: l’Assi Giglio Rosso poteva continuare nella sua collezione di titoli italiani che si sarebbe prolungata ancora, in un regime monopolistico.  Angiolo e Silvano avevano la stessa statura, 1,88, e l’ago della bilancia si spostava più in là se sul piatto saliva il più giovane: dando per buoni vecchi dati, 108 a 117.

Il progresso a cui Meconi sottopose il record nazionale fu colossale: da 15,82 a 18,82, nel segno di un passaggio dai primordi all’evo moderno e con picchi statistici che lo videro per tre volte approdare al limite europeo. In questo senso la sua annata di pregio, come l’etichetta da appiccicare su un eccellente Chianti, fu il ’59 quando con 18,03 tolse il record al cecoslovacco Jiri Skobla, per salire in due occasioni ravvicinate a 18,19 e a 18,48. Subito dopo, la corona finì dalla testa del ferroviere toscano a quella di Arthur Rowe, fabbro inglese. Rowe era stato campione del Commonwealth e campione europeo a Stoccolma ’58, con Silvano che finì quinto conquistando il piazzamento più prezioso della sua lunga carriera. All’Olimpiade andò tre volte, dal ’56 al ’64, rimediando un decimo posto a Melbourne, un 13° a Roma e una mancata qualificazione a Tokyo.

A quel punto, Marco Montelatici aveva undici anni e Alessandro Andrei cinque. Con il loro arrivo in scena, i titoli italiani sarebbero diventati 50. Nei maxi-moschettieri fiorentini difficile riconoscere un d’Artagnan, un Athos, un Aramis: sono quattro Porthos.

Giorgio Cimbrico



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