Una storia al giorno

16 Ottobre 2013

Personaggi e vicende dell'atletica di sempre

16 ottobre. La cavalcata su quel che capitò 45 anni fa all’alta quota di Messico City galoppa avanti, offrendo qualcosa di grande, drammatico, intenso, inatteso. Unico. Prende il via alle 17,50, quando lo sparo scioglie i lacci dei finalisti dei 200 e Tommie Smith, detto Jet, libera le sue leve, mastica Carlos che, con scarpette a pettine, aveva bruciato la distanza in 19”7 a South Lake Tahoe e decide, a partita vinta, di concedersi un arrivo a braccia spalancate.

Non appena appare il tempo (19”8, 19”83, record mondiale, ennesima barriera valicata) si apre anche il dibattito: quale dimensione avrebbe assunto, il limite, se avesse corso sino in fondo? La storia dell’atletica è ricca di questi interrogativi senza risposta che la rendono anche più affascinante. Perché l’hai fatto, Tommie? “Così, un modo per festeggiare. Ormai li sentivo dietro”. Potevi fare meno, molto meno… “Già, a pensarci bene poteva andare proprio così, ma ormai è andata”. E anche sui 400 potevi spaccare il mondo e invece ti sei accontenta di un’incursione da 44”5. “Quella era proprio la mia distanza e chissà perché l’ho corsa poco”.

L’ingresso nell’iconografia del XX secolo (a fianco del miliziano morente di Capa, diEinstein che fa le beffe, dei fanti americani che alzano la bandiera sul monte Suribashi, dei piccoli vietnamiti che fuggono davanti al napalm americano) dista soltanto il tempo che divide la fine della gara dalla premiazione. E’ l’estate delle rivolte nei ghetti, è la nascita di una nuova coscienza nera.

Smith e John Carlos, entrambi studenti al college di San José (che li ha onorati con un gruppo bronzeo che ritrae il loro gesto) sono membri dell’Olympic Project of Human Rights e hanno un paio di guanti di pelle scura - Tommie calza il sinistro, John il destro -, sono scalzi in ricordo dei loro avi schiavi strappati dalla madre Africa, hanno lacci neri attorno al collo per ricordare le corde usate per i linciaggi che facevano sbocciare gli strange flowers cantati da Billie Holiday, gli strani fiori che pendevano dagli alberi del Sud: gli impiccati dal KKK.

Alla prima nota dell’inno, ai primi centimetri percorsi dalla bandiera a stelle e strisce sul pennone, abbassano lo sguardo e alzano il pugno. Il marchese di Exeter guarda nel vuoto, spera che il tempo acceleri: quando era lui a battere la pista, queste cose non succedevano. Un Golgota moderno, scrisse qualcuno, per quel fondale di buio che diventò sfondo, L’australiano Peter Norman, sensazionale argento in 20”06, condivide la protesta e, nel boccaporto, appunta sulla tuta un distintivo allungatogli da Carlos. E’ religioso, è un membro dell’Esercito della Salvezza e ha capito a fondo il significato del gesto, di radice non violenta. “Gliene siamo stati eternamente grati e quando è morto siamo andati a reggere la bara”.-Né Tommie né John sono membri delle Pantere Nere. La sera stessa – su pressioni di Avery Brundage, che da giovane dirigente aveva glorificato la Germania di Hitler, un paese rimsso in ordine - vengono espulsi dal Villaggio, la prima tappa di una vita aspra. Chi osa, paga.

“Non credo di aver perduto nulla. Quel gesto era nostro e tale è rimasto”, ha ricordato Tommie nella sua visita italiana, corsa nei giorni di avvicinamento al Mennea Day, sino alla celebrazione scandita in 67 città italiane da una folla di giovanissimi, di anziani, di vecchi del mestiere che hanno riesumato maglie sepolte nei cassetti e dalla decisione di alzare una statua in onore di Pietro il Grande. Ne ha parlato anche Tommie e il vecchio saggio, che è anche un vecchio fusto, ha colpito ancora nel segno: “E’ stato un onore che, dopo undici anni, nello stesso luogo, il mio record sia stato battuto da Pietro. Era un uomo d’onore”.

Giorgio Cimbrico



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