Una storia al giorno

11 Ottobre 2013

Personaggi e vicende dell'atletica di sempre

11 ottobre. In Giappone è la Giornata dello Sport che, con la vittoria nella corsa ai Giochi 2020, sarà anche più sentita e intensa riportando al tempo in cui l’atletica era il fiore all’occhiello, l’orgoglio. I nomi che lo scorrere della sabbia nella clessidra non ha spazzato sono tanti. Si tratta di decidere chi sia stato il più grande: un giapponese purosangue come Chuhei Nambu, nativo di Sapporo, o un giapponese obbligato a esser tale come il coreano Sohn Kee-chung, meglio conosciuto come Kitei-son?

Dotato di un fisco che oggi definiremmo minuto (1,70 per 67), Nambu fu autore di un exploit unico, conquistando due corone: il 27 ottobre 1931, a Tokyo, atterrò a 7,98 strappando il record del mondo, 7,93, all’haitiano Silvio Cator, e il 4 agosto 1932, mettendosi al collo l’oro olimpico al Coliseum di Los Angeles raggiunse 15,72.

Il primo limite gli fu tolto da Jesse Owens, nel suo giorno dei giorni, il 25 maggio 1935, quando con 8,13 il muro degli 8 metri venne demolito; sulla caduta del secondo ci sono discordanti versioni: ufficialmente il successore fu l’australiano Jack Metcalfe nel ’35, ma un anno prima due connazionali di Nambu, Masao Harada e Kenkichi Oshima, erano rimbalzati a Osaka a 15,75 e a 15,82: le misure non furono portate all’omologazione, nel caso di Oshima per vento probabilmente oltre alla norma. Harada sarebbe finito secondo nella finale olimpica di Berlino, quando Naoto Tajima avrebbe toccato per primo la dimensione dei 16,00. Due giorni prima Tajima aveva privato Arturo Maffei del bronzo del lungo: 7,74 a 7,73 il verdetto affidato al verbale di gara.

La storia di Sohn – chiamiamolo con il suo vero nome… – è quella di un uomo che non si è mai arreso: costretto a gareggiare per il paese che aveva invaso la Corea e la teneva sotto un tallone di ferro che l’avrebbe schiacciata sino al 1945, ebbe una firma d’autore sulle immagini della sua vittoria. Il brano sulla maratona in “Olympia” di Leni Riefenstahl è uno dei più suggestivi e coinvolgenti dell’interminabile film. Al momento della premiazione sia Sohn che Nam, terzo, altro coreano trasformato in nipponico, tennero gli occhi bassi scuotendo il capo e provando, nelle interviste del dopo, di parlare della situazione del loro paese cancellato, ma con poco successo. Un giornale di Seul pubblicò una foto del podio cancellando i simboli nipponici sulle maglie dei due atleti: nove redattori vennero incarcerati e il giornale chiuso per lunghi mesi. Oltre mezzo secolo dopo, Sohn ebbe la gioia di portare nello stadio di Seul la fiaccola. Quel giorno, ormai oltre i 70 anni, corse per la Corea.

Giorgio Cimbrico



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