Una storia al giorno

30 Settembre 2013

Personaggi e vicende dell'atletica di sempre

30 settembre. Il club di Trine Solberg, Hattestad da sposata, portava il nome di Minerva, la dea con la lancia. Lei in mano per molti anni ha stretto un giavellotto, scuotendo una chioma bionda simile a un magnifica criniera. Oggi sono tredici anni da quella che, più che una vittoria, fu un coronamento, il raggiungimento dell’Olimpo, dove abita proprio quella dea armata e con il capo coperto da un elmo. Alla collezione della norvegese, ex-giocatrice di pallamano (anche in quella disciplina è necessario un buon braccio), mancava il titolo olimpico. Venne al quinto assalto, dopo una lunga strada iniziata da adolescente a Los Angeles ’84 e dopo molte altre cose: due figli (che sarebbero diventati quattro), il cambiamento dell’attrezzo, un poker di record mondiali dopo la “riforma” del ‘99, un paio di titoli mondiali, una corona europea. Soprattutto dopo la decisione, presa con quel suo sorriso impareggiabile, che a 34 anni compiuti quella di Sydney sarebbe stata la gara d’addio.

E così Trine pensò che sarebbe stato meglio sbrigarla in fretta perchè non è vero che la gioia bisogna centellinarla. Meglio godersela tutta e subito. E così, 68,91 alla prima botta, a poco più di mezzo metro dal record che aveva portato a 69,48 al Bislett di Oslo, lo stadio di casa, il tempio dei record dove il mezzofondo ha vissuto pagine indimenticabili (basta pensare alla prima fragorosa discesa sotto i 28’ di Ron Clarke) ma che anche al giavellotto ha dato momenti di gloria, uno per tutti il 91,72 di Terje Pedersen, esploratore di un nuovo mondo.

Quel giorno, all’Olimpico in fondo alla baia sterminata, al solito frequentato da una folla strabocchevole e generosa con tutti, Trine ebbe quel che le mancava e dietro di lei non ebbe nulla recriminare una graziosa bionda dagli occhi azzurri. Mirela Manjani, signora Tzelili sino al divorzio, diede il meglio di sé e con 67,51 catturò la medaglia d’argento da affiancare al titolo mondiale strappato l’anno prima a Siviglia e che avrebbe conquistato ancora a Parigi 2003.

Mirela può costituire un forte rimpianto per l’atletica azzurra: nata a Durazzo, albanese prima di diventare greca, aveva un nonno dal cognome indubitabile (Magnani), evidentemente finito da quelle parti al tempo in cui Vittorio Emanuele III affiancò la corona d’Italia a quella d’Albania. Sarebbe stato meglio annettere lei.   

Giorgio Cimbrico



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