Una storia al giorno

09 Settembre 2013

Personaggi e vicende dell'atletica di sempre

9 settembre. Fu un eccellente test pre-olimpico quello che Petra Felke sostenne a Potsdam 17 giorni prima di scendere in pedana a Seul: 77,16, n, n, 73,92, 77,62, 80,00. Ottanta metri tondi, per raggiungere una frontiera che il cambiamento d’attrezzo, poco più di dieci anni dopo, avrebbe reso una linea di confine dimenticata, come per vecchi imperi spariti dalle carte grografiche, sotto la polvere del tempo. Anche il paese di Felke, la Ddr, non esiste più.

Petra aveva un fisico molto normale (1,72 per 64 chili) e malgrado una qualche durezza nei lineamenti, poteva essere considerata una ragazza attraente. Almeno, era quello che pensavamo negli anni in cui la delfina di Ruth Fuchs guadagnava gradi sempre più alti e disegnava parabole sempre più lunghe.

Nativa della Turingia, non poteva che finire in uno dei club-simbolo, il Motor Jena, nel capoluogo della regione sud. L’uscita allo scoperto è dell’85: due record del mondo (75,26 e 75,40) in pochi minuti, a Schwerin. Il regno dura poco, poco più di un anno: appena dopo le 9 del mattino del 28 agosto 1986, agli Europei di Stoccarda, Fatima Whitbread accende i riflettori sulle qualificazioni: record del mondo portato a 77,44 e annuncio della vittoria del giorno dopo su Petra che soffre maledettamente la carica agonistica dell’anglocipriota. Ai Mondiali dell’anno dopo, a Roma, ancora Fatima davanti.

La tedesca, 69 vittorie in 76 gare sostenute in un quadriennio (e tre sconfitte subite dalla britannica), vede nell’anno olimpico l’occasione per interrompere la… sofferenza. Fatima arriva a Seul martoriata da incidenti muscolari e reduce da una febbre ghiandolare, da un’infezione alla bocca, persino da un incidente di macchina; Petra è in condizioni perfette, illuminate dalla storicità del record del mondo. Nessun miracolo, nessun clamoroso sovvertimento: Felke spara a 74,68 e chiude la vicenda. Di miracoloso c’è la medaglia d’argento di Whitbread che, perforata da più dardi di un san Sebastiano, è capace di superare i 70 metri.

Gli 80 e zero zero di Petra sono diventati una specie di monumento del passato, al fianco dell’altra cifra mostruosa che quattro anni prima finì su un tabellone berlinese: 104,80 di Uwe Hohn che quel giorno lasciò a dodici metri abbondanti Detlef Michel, non uno qualunque. Il 1° gennaio 1988 quell’aliante finì in un hangar per non uscirne più. Undici anni dopo sarebbe toccato anche a quello scagliato dalle discendenti di Giunone.

Giorgio Cimbrico



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