Una storia al giorno

26 Agosto 2013

Personaggi e vicende dell'atletica di sempre

26 agosto. Ventinove anni fa, allo stadio Lenin della città che portava il nome del padre della patria e che oggi è tornata a quello della fondazione e del fondatore, Tatyana Kazankina assesta una bella spallata al record del mondo dei 3000, 8’22”62 contro l’8’26”78 di Svetlana Ulmasova. Un gran record, contro il quale vanno a spegnersi gli ardori di Mary Slaney (già Decker, già Tabb), di Maricica Puica, di Zola Budd. Duro da rodere. Poi, vent’anni fa, succede qualcosa e succede a Pechino, tutto a opera del Reparto Rosso Femminile di Ma Yuren, il cultore degli allenamenti duri, dei sacrifici portati all’estremo e del miracoloso sangue di tartaruga. Le premesse erano state più che intravviste ai Mondiali di Stoccarda, quando le sconosciute cinesine avevano triturato la concorrenza mettendo le mani su sei delle nove medaglie disponibili nel trittico 1500-3000-10000.

E così il record di Tatyana si volatilizza, crolla in borsa, viene sottoposto a una svalutazione simile a quella subita dal marco dopo la Prima Guerra Mondiale quando era necessaria una valigia di banconote ridotte a carta straccia per comprare una mela. Nelle batterie dei Giochi Nazionali, Zhang Linli lo ritocca in 8’22”06 (trascinando Zhang Lirong a 8’22”44) e un miglioramento del genere, tutto sommato, è nella normalità dei progressi. Solo che nella seconda batteria comincia a capitare qualcosa di strano: Wang Junxia chiude in 8’12”19, Qu Junxia le arriva sui talloni in 8’12”27 e Ma Liyan passa il traguardo in 8’19”78. Quattro giorni prima Wang aveva iniziato a destabilizzare tutto quel che era avvenuto in passato con il 29’31”78 che segnava un miglioramento di 42” (quarantadue: meglio scriverlo anche in lettere) sul record del mondo di Ingrid Kristiansen, considerato una pietra miliare nella storia del mezzofondo femminile.

Dopo batterie così brillanti, la finale dei 3000 venne corsa il giorno dopo. Meglio battere il ferro sinché è caldo, dice un vecchio proverbio. E così sotto l’ormai sotterrato limite della sovietica magra come un’acciuga, con zigomi che foravano il volto, andarono in cinque e Wang Junxia fu particolarmente brillante offrendo agli spettatori di quello che è il campionato più amato dai cinesi un rilevante 8’06”11. Un vero peccato che dopo un buon primo chilometro (2’42”0), ne venne percorso un secondo piuttosto lento (2’47”7), ma Wang ovviò alla mancanza schiacciando sull’acceleratore per un 2’36”5 finale. Tutto sommato, tirando con maggiore convinzione, 7’59” poteva essere nelle sue corde. Sarebbe bastato un cucchiaino di sangue tartarughesco in più, non c’è dubbio. Su quella pagina è calato quel che attende Amleto: il silenzio.

Giorgio Cimbrico



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