Una storia al giorno

19 Agosto 2013

Personaggi e vicende dell'atletica di sempre

19 agosto. Vent’anni dopo il ricordo è sempre molto vivido e commovente: quella mattina ci si avviava dal centro stampa verso il Neckarstadion, i vialetti erano affollati e dallo stadio proveniva un brusio fitto, sempre più forte. “Perché alle 9 del mattino è già tutto pieno?”, domandò uno dei meno avveduti e un veterano rispose con un ghigno che voleva essere gentile e fu soltanto impietoso: “Non hai dato un’occhiata al programma? Comincia il decathlon”. In tedesco decathlon si dice zehnkampf, dieci battaglie, e già questo fornisce una spiegazione per l’affetto forte che i tedeschi cullano per chi lotta due giorni, nel segno della ferocia e della fraternità. E “Zehnkampf” intonarono il giorno dopo in 60.000 per onorare i guerrieri dopo l’ultimo scontro, abbandonando il nazionalismo e accomunandoli tutti in quel’abbraccio vocale che salì nel cielo sopra Stoccarda.

Il ricordo di quei giorni di prodigioso amore è anche legato a una maglietta verde che tutti comprammo: davanti era stampato un omino che passava un ostacolo, niente di speciale. Il meglio era sulla schiena: “Kratschmer bianco, Yang giallo, Thompson nero: il decathlon non è questione di pelle”, c’era scritto. Per spontaneità vent’anni dopo continua a battere tutti quei finti e ipocriti slogan contro il razzismo imposti dai consigli di amministrazione che governano lo sport.

Di tutto questo Dan O’Brien era la sintesi: nero e finlandese, cresciuto in un orfanotrofio e poi in una casa di benevoli irlandesi, alcolista pentito prima di trovare la vocazione: il decathlon è anche una fede. Si scontrò con un bielorusso dal nome singolare (Edvard Hamalainen) e con una linea di sangue non lontana dalla sua: il nonno era finlandese e le vicende belliche del “secolo breve” lo avevano portato a ricostruirsi un’esistenza lontano da Suomi.

Dan non era di taglia titanica e come Daley Thompson dava il meglio nelle prime tappe della lunga fatica: con 10”57 e 7,99 si portò in testa e non la mollò più, firmando anche 5,20 nell’asta. Era il miglior modo per dimenticare la terribile delusione provata un anno prima ai Trials quando tre nulli proprio nell’asta lo avevano tagliato fuori dalla squadra olimpica per Barcellona. Il record del mondo strappato in uno dei santuari delle prove multiple (8891 punti nella francese Talence) nel settembre di quell’anno nero lo aveva consolato ma era necessario una corona per sentir meno bruciante quell’ustione. Venne a Stoccarda nel migliore dei luoghi possibili. Neppure ad Atlanta, quando finalmente mise al collo l’oro olimpico, visse momenti altrettanto indimenticabili e coinvolgenti. 

Giorgio Cimbrico



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