Una storia al giorno

18 Luglio 2013

Vicende e personaggi dell'atletica di sempre

18 luglio. Venticinque anni fa Larry Myricks disse parole storiche e definitive: “Ora ho capito, non lo batterò mai”. La gara di salto in lungo dei campionati americani, validi come Trials per i Giochi di Seul, si era appena conclusa: aveva vinto Carl Lewis e Larry era finito secondo. A un primo sguardo, non una grande notizia. Ma erano state le modalità a rendere lo scontro indimenticabile e a obbligare a quel verdetto finale pronunciato dallo sconfitto.

In condizioni asciutte e con un vento a favore perfetto, 1,4, Myricks si era spinto dove non era mai arrivato: 8,74. Carl era dietro, mancava un turno e sul far della sera le nuvole iniziarono ad ammonticchiarsi sullo stadio non lontano dallo speedway della 500 miglia. Cominciò a cadere la pioggia, ma non lenta come in un vecchio racconto di quel buonanima di Ray Bradbury: gocce sempre più grandi, pesanti, fitte, sino a disegnare un velario che quasi nascondeva quella figura alta e affusolata che si accingeva all’ultimo tentativo.

Carl saltò, atterrò in una sabbia diventata fango e quando la misura fu annuncata (8,76), Myricks capi che non c’era niente da fare. E lo disse, anche. Un anno prima, sulla stessa pedana, il Divino aveva saltato 8,75 (con millimetrico nullo attorno alle 10 yards, 9,10), nell’82, ventunenne, aveva ottenuto un…interessante record personale: 8,76 e nell’83, prima di volare a Helsinki per i primi Mondiali, si era spinto a 8,79. Sono le sue migliori misure di sempre, con il miracoloso 8,79 indoor di New York e con l’8,87 della sconfitta da invitto con Powell. In Corea Carl avrebbe vinto il secondo dei sui quattro titoli consecutivi nella gara che più amava con una parabola lievemente più corta, 8,72. Myricks finì terzo. L’argento fu di Mike Powell che stava preparando la beffa di Tokyo.   

A conferma della sua eccezionalità… orizzontale, nella vetrina del 18 luglio va esposta anche altra mercanzia, legata al meeting di Salamanca del 1995 allietato da una brezza favorevole perfetta, giusto entro la norma: si rivelò utile per Ivan Pedroso che con 8,71 segnò il suo top prima di essere impelagato, di lì a una decina di giorni, nella storiaccia del Sestriere; e per Jonathan Edwards che, dopo il divino rimbalzare di un mese prima a Villeneuve d’Ascq (18,43 con molti punti esclamativi e con appena quatto decimetri di vento illegale) portò il record del mondo a due centimetri dalla barriera che avrebbe abbondantemente infranto il 7 agosto a Goteborg, in un giorno di amazing grace, di grazie strabiliante, come si canta in un inno religioso che un tempo, prima di abbandonare la fede, gli era caro.

Giorgio Cimbrico



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