Un secolo in quattrocento metri

01 Maggio 2015

Oggi è il centesimo anniversario della nascita del quattrocentista americano Archie Williams, oro olimpico a Berlino 1936 e poi protagonista di una straordinaria carriera anche oltre l'altletica

di Giorgio Cimbrico

Primo maggio. Oltre alla Festa del Lavoro, un sacco di altre cose: nel 1786, la prima mondiale di Le Nozze di Figaro e nel 1840 l’arrivo del primo francobollo, il Penny Black. In atletica, il centesimo anniversario della nascita di Archie Williams, uno che non abbassava la testa, che non si sentiva nipote dello zio Tom e che non si alimentava di luoghi comuni. “Quanti sporchi nazisti hai visto?”, gli chiesero quando tornò da Berlino. “Ho incontrato solo persone gentili e non dovevo andare in fondo quando salivo sull’autobus”, rispose uno degli uomini che contribuì a dare una svolta alla storia dei 400.

Nativo di Oakland, baia di San Francisco, Archie sino alla primavera del ’36 non era mai sceso sotto i 49”. In aprile sbocciò come una pianta carnivora: 47”4 in aprile, 46”8 in maggio e 46”5 il 19 giugno, a Chicago, nelle eliminatorie delle 440 yards dei campionati Ncaa. Ai 400, 46”1, record mondiale. “Capitò nelle batterie: si trattava di finire nei primi quattro e io correvo al largo, solo come un’oca”. Un’oca impazzita: un decimo sotto il record mondiale di Bill Carr, quattro anni prima ai Giochi di Los Angeles.

Archie vinse anche ai Trials e andò a Berlino per dar vita a una delle più drammatiche finali, pareggiata per suspence da quella romana del ’60, con il testa a testa tra Otis Davis e Carl Kaufmann.

Archie e James LuValle, californiano anche lui, entrarono in testa sul rettilineo finale ma non avevano fatto i conti con il coraggio, da granatiere britannico, di Arthur Godfrey Brown, inglese d’India che aveva visto la luce (anche lui 100 anni fa) in Bengala. Williams vinse di un soffio, e se il risultato ufficiale dice 46”5 a 46”7, è la pellicola del fotofinish a testimoniare quanto l’arrivo fu serrato: 46”66 a 46”68.

Con una decisione inspiegabile, Williams e LuValle (terzo) vennero esclusi dalla 4x400 che i britannici catturarono con una formidabile seconda frazione di Godfrey Rampling (padre dell’affascinante Charlotte) e con la chiusura affidata a Brown. Per l’ultimo giro la Germania (alla fine, bronzo) schierò un giovanotto di Dresda eliminato nelle batterie degli 800, Rudolf Harbig che prima della guerra (che gli sarebbe stata fatale) si impadronì dei record mondiali di 400 e 800 con tempi che anticiparono il futuro: 46”0 e 1’46”6.

In tempi in cui con l‘atletica non si mangiava, Williams si concentrò sul suo avvenire: diventò ingegnere meccanico, si arruolò nell’Air Force, diventò pilota, metereologo e istruttore dell’unico stormo di afroamericani cui vennero affidati caccia. Raggiunse il grado di tenente colonnello e dopo il congedo iniziò una nuova vita da insegnante di matematica e informatica nei licei diventando molto popolare e amato dagli allievi. Se n’andato nel ’93, due anni prima di Godfrey Brown, il suo grande avversario di quel 7 agosto 1936.



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