Un giorno, un'impresa

24 Maggio 2013

Appuntamento quotidiano con le storie dell'atletica

24 maggio. Giorno particolarmente generoso, e non solo per l’ingresso in guerra dell’Italia con “l’esercito che marciava per raggiunger la frontiera”. Per chi ama il tennis è il dì natale di Susanne Lenglen detta la farfalla e per chi adora il rugby è il momento della venuta al mondo di uno dei più grandi All Black: Ian Kirkpatrick. Ma anche l’atletica non scherza: Robert Garrett, campione nel peso e nel disco ad Atene 1896 dopo esser stato munifico compagno viaggio verso la prima Olimpiade; Chuhei Nambu, iniziatore della breve ma intensa stagione dei triplisti giapponesi; Gianmario Roveraro, l’Horine italiano (e ingauno) scomparso in spaventose circostanze, Liz McColgan, la scheletrica mezzofondista scozzese.

Tutti eclissati dalla luce forte trasmessa da Irena Szewinska, nata Kirszenstein nel ’46 in una Leningrado appena uscita dai 900 giorni d’assedio, di fame, di disperazione di eroismo. La famiglia è ebreo-polacca e irena, specie nella piena maturità (oggi gli anni sono 67), pare uscita dalle pagine di un capolavoro di Isaac Singer, “La Famiglia Moskat” Per usare uno di quei terribili stilemi oggi così in voga, che dire di Irena? Tutto può esser detto di chi iniziò come sprinter e lunghista, allungò sui 200, esplorò territori sconosciuti sui 400, chiuse una carriera interminabile con 6 medaglie olimpiche (3 d’oro) e 10 europee, lasciò segni, nella cronologia dei record mondiali, nei 100, 200, 400 e nella 4100 non fosse che quel limite venne cancellato quando Ewa Klobukowska dimostrò di non essere donna al 100%. Proprio alle immediate spalle della biondissima connazionale, Irena aveva centrato il suo primo limite mondiale, 11”1 nel ’65, sulla collina praghese di Strahov per che per noi italiani desta magnifici ricordi legati a Sara Simeoni e a Venanzio Ortis e dolorosi quando in superficie sale il nome di Pietro Mennea.

Per comprendere a fondo forza, essenza ed eredità della donna dagli occhi allungati come una Nefertari, il mezzo migliore è scorrere immagini e cifre: Irena saltava 6,67 in lungo quasi cinquant’anni fa, giunse a correre i 200 in 22”21 e sui 400 a toccare un magistrale 49”29 distruggendo nella finale di Montreal l’astro nascente (ma non del tutto sorto…) Christina Brehmer. Ma sapeva lasciare i blocchi in fretta e trovare subito l’assetto malgrado l’1,80 di statura: 6”39 sui 50 e 7”20 sui 60 completano il quadro di magnifica all arounder.

Membro del Cio, presidentessa della federazione polacca, è entrata nella Hall of Fame dello sport ebraico e l’anno scorso è stata una delle prime ad avere accesso nella Casa della Gloria della Iaaf. Normale sia andata così.

Giorgio Cimbrico



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