Un giorno, un'impresa

17 Maggio 2013

Appuntamento quotidiano con le storie dell'atletica

17 maggio. Sessant’anni fa, l’inaugurazione dello Stadio Olimpico si risolse in una sonora lezione che i maestri ungheresi impartirono agli azzurri: 3-0, con gol di Hidegkuti e di Puskas, due.Tutto sommato, poco più di un mese dopo, agli inglesi sarebbe andata peggio: a Wembley 3-6 per i danubiani che praticavano un altro gioco. Il primo episodio che trasformò quello che era nato come Stadio dei Cipressi e si era trasformato in Stadio dei Centomila in luogo dell’atletica cadde poco più di quattro anni dopo, il 13 ottobre 1957, quando Vladimir Kuts diede una non trascurabile scossa al record del mondo dei 5000: il 13’36”8 del britannico Gordon Pirie scese a 13’35” sotto un ritmo uniforme nella parte centrale e tratte iniziaii e finali ben al di sotto dei 2'40”.

Rileggendo a ritroso la storia di un impianto che, purtroppo, ha subito una profonda mutazione delle sue originarie strutture, immerse sino a Italia 90 nel paesaggio circostante del Foro Italico e delle colline alle spalle, quel record del mondo diventa capostipite di un’infinita serie di pagine memorabili, primo frammento di un caleidoscopio che conduce sino ai nostri giorni e a Golden Gala tornati a offrire uno stadio affollato, entusiasta, senza orribili tensioni calcistiche: i 50.000 di un anno fa costituiscono l’incoraggiante anticipazione di quel che sta per accadere tra meno di tre settimane, quando per la terza volta il Lampo accenderà la pista.

L’Olimpico, dal quale potevano esser colti con lo sguardo i grandi pini a ombrello così cari ai pittori di paesaggi romani, da Turner a Corot, fu il luogo di un’Olimpiade che nel 1960 seppe offrire un’infinita messe di risultati, di duelli, di gioie: Livio Berruti e il doppio record mondiale in poco più di due ore, il duello tra Rafer Johnson e Yang, lo scontro risolto sul filo tra Otis Davis e Carl Kaufmann, la prova di forza e di grazia di Herb Elliott, la lievità di Wilma Rudolph non sono mai stati insidiati dalla polvere del tempo, dall’ingiallimento. Sono ancora lì, vividi. Coinvolgenti e commoventi, legati a uno sport più autentico, non legato al mercato, al denaro, agli interessi, agli asservimenti così consueti nel nostro tempo.    

Più tardi, con un ruolo ormai assunto di punto di riferimento dell’atletica mondiale, vennero gli Europei del ’74, la Coppa del Mondo del 1981, i Mondiali del 1987, vennero tonanti edizioni del meeting inventato da Primo Nebiolo all’indomani dei Giochi mutilati di Mosca. Ancora immagini che si sovrappongono virando dal bianco e nero al colore, dall’immagine fissa al movimento del fotogramma: Pietro Mennea che conquista il suo primo titolo di spessore assoluto, gli euro 200, il tifo infernale dei finlandesi per scatenare in Hannu Siitonen il sisu giusto, il disperato primo giro di Marcello Fiasconaro battuto e invitto, iI duello Vigneron-Bubka con doppia scesa a cieli mai toccati, la prima discesa sotto i 13’ nei 5000 di Said Aouita, la volata sporca di Ben Johnson , il sorriso estatico di Maurizio Damilano, il volto deciso e un po’ sgherro di Francesco Panetta, il volo di Stefka Kostadinova (che tante hanno insidiato e nessuna battuto) e quello di Yelena Isinbayeva, i razzi accesi da Tyson Gay, da Usain Bolt.

Il Giubileo odierno va salutato con gioia mista a riverenza e consiglia di proseguire nella ricerca, non limitandosi a questo frenetico volo d’uccello. L’Olimpico, come un vecchio tempio, ha preziosi tesori nascosti o dimenticati. E ciascuno, esplorando, può trovare il suo.

Giorgio Cimbrico



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