Un giorno, un'impresa

08 Maggio 2013

Appuntamento quotidiano con le storie dell'atletica

8 maggio. E’ il 1877 quando Ernst Curtius, emerito professore universitario, direttore del Museo di Antichità di Berlino e con un perfetto nome da scienziato (come il professor Abronsius di “Per favore, non mordermi sul collo”), invia alla casa madre che ha finanziato la spedizione un telegramma in cui può annunciare che, durante gli scavi ad Olimpia, ha rinvenuto una bella statua di Hermes, Mercurio, valutabile attorno al IV secolo prima di Cristo. Il dio con le ali ai piedi, il messaggero degli dei, per di più ritrovato dove i primi grandi campioni si sfidavano sulla distanza dello stadio, più o meno un 200 in linea retta, diventa uno dei simboli dei Giochi, dell’atletica, allo stesso livello di Apollo che ancor oggi è possibile ammirare, contornato dalla sua corte, nel piccolo museo tra gli ulivi, accanto a dischi, giavellotti, pesi che permettevano salti lunghi attorno ai 9 metri, forse più.

Ereditate da Mercurio, le ali ai piedi si sino appiccicate alle estremità di Harold Abrahams e di Jesse Owens, di Harrison Dillard e di Bobby Morrow, di Armin Hary e di Livio Berruti, di Bob Hayes e di Jim Hines, di Tommie Smith e di Pietro Mennea, di Carl Lewis e di Michael Johnson che più che ali ai piedi pareva avere un paio di cingoli. L’elenco, ovviamente, potrebbe andare avanti pescando nel tempo profondo o a quello a noi più vicino, sino a evocare la figura di Usain Bolt, semidio nato dall’unione di una dea e di un umano. O viceversa.  

E’ bene precisare che alcuni di questi velocissimi si sono rivelati anche truffaldini. Mercurio, oltre che del commercio e dell’eloquenza, è anche il dio dei ladri.

Giorgio Cimbrico



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