Un giorno, un'impresa

23 Aprile 2013

Appuntamento quotidiano con le storie dell'atletica

23 aprile. Quando si parla di giorno dei giorni, di solito si finisce per parlare o scrivere del 25 maggio 1935 quando a Ann Arbor, Michigan, Jesse Owens stabilì o eguagliò sei record del mondo: il più nobile e destinato a durare fu l’8,13 nel salto in lungo. Ma anche quanto capitò a Redlands, California, nella primavera del 1921 merita di esser riscoperto e raccontato.

“Sembrava un canguro”, racconta un testimone materializzando l’immagine più famosa di Charley Paddock, il texano trapiantato sulla costa del Pacifico che in prossimità del filo di lana (che non c’è più…) saltava e spediva le braccia verso il cielo per la gioia dei fotografi che armeggiavano con giganteschi apparecchi. Saltò anche quel giorno, sul traguardo intermedio delle 100 yards, passato in 9”3/5,  record mondiale eguagliato A quel punto, ricadde sulla pista, ma quelle sue gambe non lunghe e molto robuste furono ancora capaci di imprimere due zampate per passare i 100 in 10”2/5, strappando il limite a Jackson Scholz, 10”6 sette mesi prima al meeting di Stoccolma. Più tardi Charley, oro olimpico ad Anversa l’anno precedente, tornò in pista per una distanza che prevedeva quattro traguardi: passò quello dei 200 e delle 220 yards in 21”5, quello delle 300 yards in 30”1/5, quello dei 300 metri in 33”1/5, firmando sulle ultime due distanze altri due record del mondo.

A Parigi 1924 Paddock fu quinto nei 100 di Harold Abrahams e secondo nei 200, dietro Scholz e davanti a Eric Liddell. Ormai oltre la quarantina, volle offrire il proprio contributo allo sforzo bellico, si arruolò nei marines e morì in un incidente aereo in Alaska.

Giorgio Cimbrico



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