Un giorno, un'impresa

21 Aprile 2013

Appuntamento quotidiano con le storie dell'atletica

21 aprile. Sei anni fa, a Santa Clarita, California del Sud, in una piscina, durante una gara master di nuoto, muore un corpulento signore di 75 anni: è William O’Brien, detto Parry, un campione, un inventore, un codificatore. Perché il suo stile nel lanciare il peso porta il suo nome, proprio come capitò a Dick Fosbury per il salto in alto.

Parry, ex-giocatore di fooball, capì che la catapulta in cui trasformare il corpo doveva esser meglio caricata se il proiettile da 16 libbre doveva andare più lontano. E così, meglio non presentarsi di fianco al settore, ma di schiena, ruotare di 180° e solo a quel punto dar fuoco alle polveri. L’era dei rotatori sarebbe arrivata un quarto di secolo dopo, con Aleksandr Baryshnikov. Con la differenza, rispetto a Fosbury, che ancor oggi molti adottano lo stile inventato da Parry.

O’Brien ha scandito la storia della specialità: ha firmato 16 record del mondo, è stato il primo a toccare e a superare la barriera dei 18 metri, e poi quella dei 19, e a parte una breve parentesi concessa all’erede Dallas Long, è stato padrone del record del mondo per sette anni. In quattro partecipazioni olimpiche è stato oro a Helsinki quando aveva vent’anni, oro a Melbourne (una doppietta mancava dal tempo della “balena” Ralph Rose), argento a Roma e quarto a Tokyo, quando fu portabandiera degli Stati Uniti.

O’Brien ebbe molti giorni felici. Uno dei più luminosi venne l’11 giugno 1954 quando al Coliseum di Los Angeles, firmò tre record mondiali in pochi minuti. L’ultimo acuto è del 1° agosto 1959 e non arrivò nell’amata California, ma ad Albuquerque, Nuovo Messico. Quel 19,30 segnò il suo ultimo urrah.

Giorgio Cimbrico



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