Un giorno, un'impresa

14 Aprile 2013

Appuntamento quotidiano con le storie dell'atletica

14 aprile. 1946, Meno di un anno dalla fine della guerra, Milano ancora piena di segni luttuosi, di macerie: Adolfo Consolini torna al campo Giuriati, ora piccolo tempio ovale meneghino: in pieno conflitto, il 26 ottobre del ’41, lì aveva spostato il record mondiale di disco a 53,34, concedendo vita breve, quattro mesi, al 53,26 dell’americano Archie Harris. L’impresa ricorda quella, pure ottenuta in tempore belli, di Fausto Coppi sull’ora, al Vigorelli. La Grande Bufera aveva cancellato campioni e appuntamenti e in quasi cinque anni il picco non si era spostato. Sempre suo. Consolini andò al campo nel primo pomeriggio per un’altra gara “fredda”, senza avversari di rilievo, proprio come nel ’41; alle 15,20 il piatto in legno con corona di ferro atterrò a 53.69 e dieci minuti dopo a 54,23. Due record mondiali in 600 secondi. Neppure un nullo, e tentativo più corto a 51,14: era in forma, il colosso veronese dell’Oberdan Pro Patria che, con usando le solite analisi a posteriori, fornì l’annuncio della sua vittoria al primo incontro tra popoli del dopoguerra, gli Europei di Oslo, e l’inizio di una serie continentale che sarebbe andata sino al terzo capitolo, a Berna ’54, offrendo materiale di pregio per scrivere la leggenda del gigante mite di Costermano. Sempre a Milano, ma all’Arena napoleonica, Adolfo avrebbe offerto il suo ultimo acuto mondiale, 55,33, il 10 ottobre del 1948, riunendo così nelle sue mani robuste l’oro olimpico di Londra e il record mondiale, impresa concessa solo ai più grandi.

Giorgio Cimbrico



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