Un giorno, un'impresa

18 Marzo 2013

Appuntamento quotidiano con le storie dell'atletica

18 marzo. Nel 1875 nasceva in un borgo non lontano dall’Avana Felix Carvajal, il Dorando Pietri cubano. Piccolo, poco più di un metro e mezzo, povero, entusiasta, si mise in testa di correre la maratona olimpica del 1904. Chiese l’elemosina per le strade, mise assieme un gruzzolo, comprò il biglietto per New Orleans. I dadi e le ragazze della vecchia Dixie gli furono fatali: rimase senza un penny ma non si perse d’animo. Coprì a piedi le 700 miglia che dividono la capitale dalla Louisiana a St Louis e al via si presentò con una camiciola e un paio di calzoncini al ginocchio. Non sapeva che sarebbe finito in una sorta di girone infernale: percorso durissimo, caldo, non uno straccio di indicazioni per quel drappello che comprendeva anche due membri della tribù sudafricana degli Tswana, i primi africani a partecipare ai Giochi. Felix venne preso dalla fame: chiese due pesche a un contadino, prese d’assalto un albero di mele verdi, finì assalito da violenti dolori allo stomaco. Nel giorno della controversa vittoria di Thomas Hicks, aiutato con forti dosi di stricnina, finì quarto con un tempo sconosciuto. Carvajal, uno di quelli che hanno contribuito a costruire una leggenda a volte gloriosa, a volte tragica, era nato nella Cuba spagnola e morì quasi mezzo secolo dopo nella Cuba americana. Chissà se Hemingway aveva sentito parlare di lui. 

Giorgio Cimbrico



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