Un Dual meet che ha fatto storia

23 Novembre 2015

Il 21 e 22 settembre del 1962 a Stanford, di fronte ad oltre 70.000 spettatori, il più grande faccia a faccia tra USA e URSS

di Giorgio Cimbrico

In questo momento buio, in queste ore in cui ci si domanda a che punto è la notte, viene la voglia di domandarsi se umanità, fraternità siano estinte. E così non rimane che tuffarsi all’indietro, riemergere in California 53 anni fa quando, secondo la definizione di un cronista del San Francisco Examiner, venne organizzato il più grande faccia a faccia di tutti i tempi: Usa-Urss, 21 e 22 luglio 1962, stadio di Stanford. Il primo giorno, 72.500 spettatori: il secondo, 81.000. A distanza di mezzo secolo, il più grande pubblico mai registrato per gare di atletica non olimpiche.

Erano giorni duri e tesi, quelli di K contro K (Nikita Kruscev e John Kennedy) che di lì a poco sarebbero sfociati nella crisi dei missili di Cuba, quando il mondo finì a un passo dalla sfida finale, forse fatale. Ma nella terra di nessuno che divideva le trincee della Guerra Fredda poteva anche essere coltivata la pianta dell’amicizia. La innaffiarono Payton Jordan, capo coach di Stanford, e Gabriel Korobkov, vertice tecnico dell’Unione Sovietica. Si conoscevano e si stimavano da 24 anni e così decisero che, anche in tempi così perigliosi, il confronto tra le superpotenze, nato nel ’58, dovesse andare avanti e conoscere un salto di dolcissima qualità.

Jordan era geniale e aveva meritato l’etichetta di Barnum dell’atletica: era stato lui a introdurre la musica, a “vestire” lo stadio con striscioni e bandiere,  a dare una dimensione divertente a quel che a lui pareva vecchio, ingessato.

Anche il benvenuto ai “rossi” seguì questo nuovo modo di intendere lo spettacolo sportivo: la città era elettrizzata e quando Jordan andò a chiedere a Valeri Brumel se si sarebbe esibito nel suo famoso calcio (il piede che va a incocciare il ferro del canestro, a 3 metri abbondanti da terra), il fuoriclasse di Tolbuchino non ebbe difficoltà ad acconsentire.

Le gare, affidate a una generazione indimenticabile, furono meravigliose: Bob Hayes e Wilma Rudolph vinsero i 100, Piotr Bolotnikov fece doppietta su 5000 e 10000, Harold Connolly portò il record mondiale di martello a 70,67, Tamara Press non ebbe difficoltà a metter le mani su peso e disco e deliziò il pubblico baciando sulla pelata un piccolo dirigente americano, Ralph Boston piegò di stretta misura Igor Ter Ovanesyan che quaranta giorni prima gli aveva strappato il record del mondo atterrando a 8,31 nell’armena Yerevan. Chi aveva deciso di non mancare, capì di aver fatto la scelta giusta quando vide Brumel lasciarsi facilmente alle spalle 2,21 e, senza porre misure in mezzo, portare il record del mondo a 2,26. Dopo otto salti, tutti alla prima prova, gli unici errori vennero a 2,28, La quota sarebbe stata superata 364 giorni dopo a Mosca, per un altro scontro fra titani.

Il Dual meet, come lo chiamano gli americani, finì 128-207 per gli Usa tra gli uomini, 64-41 per l’Urss tra le donne. “Guerra Fredda? Non ci pensai neppure per un momento. C’era solo la gioia di affrontare una super squadra”, disse Boston. Molti non notarono il conciliabolo in mezzo al campo tra il saltatore John Thomas e il giavellottista Viktor Tsibulenko: tutti dovevano uscire dallo stadio fraternamente mischiati. Non fu difficile trovare l’accordo.

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