UN PO' DI STORIA: Nel 1950 la cinquanta chilometri di marcia: Primo tricolore in S



La lettera, su carta intestata della FIDAL centrale, recitava più o meno così: “Caro Loddo, sono lieto di comunicarti che il Consiglio Federale ha deciso di affidare a Cagliari l’organizzazione del Campionato Italiano dei cinquanta chilometri di marcia che si svolgerà il 15 ottobre: Sono certo che ….” eccetera, eccetera. La firma in calce alla lettera era quella di Bruno Zauli da quattro anni, siamo nel 1950, alla presidenza della FIDAL. Il destinatario era Angelo Loddo, da oltre un decennio alla guida dell’atletica in Sardegna, consigliere federale nonché delegato provinciale del CONI. Lo stesso Loddo si era battuto, in consiglio federale, per perorare la causa dell’atletica sarda, da sempre ignorata in sede di compilazione del calendario nazionale. Certo il presidente ed i suoi collaboratori avrebbero voluto qualcosina in più della cinquanta chilometri, ma allestire una manifestazione di campionato su pista era pura follia. La Sardegna disponeva di un solo impianto appena accettabile, lo stadio Amsicora, pista a cinque corsie e pedane tutte in carbonella. Si parlava, è vero, di ristrutturazione condizionata, al momento, dalla mancanza di fondi necessari. Il rifacimento dell’impianto sarà possibile solo da lì a qualche anno.

Avanti, dunque, con la cinquanta chilometri. Il percorso, tracciato su strade in prevalenza asfaltate, toccava tutte le frazioni. Partendo da piazza San Benedetto in direzione di Quartu e da questa località ritorno a Cagliari attraverso Quartucciu, Selargius, Monserrato e Pirri e quindi Elmas, Assemini e viceversa, rientro in città e conclusione allo stadio Amsicora.

Tutto era preparato per il meglio. I posti di rifornimento ogni 10 chilometri, il servizio di ordine pubblico, le macchine al seguito (niente da fare, purtroppo, per i ciclomotori che saranno millanta e che intralceranno in qualche modo il lavoro dei giudici). La dotazione dei premi era tale da essere definita “imponente” dai concorrenti e dai dirigenti federali: venticinquemila lire al vincitore non erano poche in quell’ormai lontano 1950.

Il comitato organizzatore aveva trovato ospitalità nella sede della Lega (allora si chiamava così) regionale del calcio, in uno stabile di vico Maddalena, nel centro storico, che ancora presentava ben visibili i danni provocati dai bombardamenti del 1943. La FIDAL non aveva una sede e poiché del comitato regionale faceva parte anche Mario Siddi, presidente della federcalcio sard e futuro consigliere nazionale dell’atletica, ecco che un angolino era stato trovato anche per la cinquanta chilometri di marcia.

I concorrenti erano ventidue, quattordici avrebbero portato a termine la gara. C‘era tutta l’élite della marcia azzurra, in primo piano Pino Dordoni fresco reduce dal titolo europeo conquistato in estate a Bruxelles. E con lui Cascino che in Belgio era stato nono e quarto nei dieci chilometri su pista. Due personaggi di spicco destinati, nelle previsioni, a contendersi la maglia tricolore numero 21. Una maglia conquistata, nel 1930, dal cagliaritano Franco Pretti che gareggiava allora per il gruppo sportivo della Milizia fascista di Roma. Pretti vantava due (piuttosto ingloriose) partecipazioni ai Giochi Olimpici, la seconda nel 1948 a Londra quando aveva già quarantacinque ani. In compenso era ancora detentore del record italiano dei  cinquanta chilometri su pista stabilito nel 1934 a Roma.


In mancanza di Pretti l’onore, e soprattutto l’onere, di rappresentare la mancia isolana era affidato a Francesco Dessì del Monteponi di Iglesias e ad Antonio Gallus dell’Amsicora.

Effettuata la ricognizione del percorso il giudice arbitro Serafini di Sulmona (era, se non ricordiamo male, il capo stazione delle Ferrovie dello Stato nella cittadina abruzzese) dava via libera ai concorrenti nella piazza San benedetto stipata di spettatori nonostante l’ora poco indicata. Dordoni subito al comando, tanto per rendere palesi le sue intenzioni. Azione facile, stile ortodosso, così come si addiceva ad un campione della sua caratura. Ed i primi a farne le spese erano il triestino Kressevich, uscito subito di scena, al pari del tanto decantato Cascino che al passaggio da Quartu accusava già un ritardo di quasi un minuto.

Folla eccezionale ma anche polvere (era quello il solo tratto sterrato) nell’attraversamento delle frazioni. A Selargius tutto il paese mobilitato, sindaco in testa. A Cagliari il vantaggio d Dordoni su Cascino era salito a 5’15”, ma anche gli altri avversari del campione europeo avevano perso terreno tanto da apparire tagliati fuori anzitempo dalla lotta per il titolo. Chiudevano la fila i due sardi, sempre appaiati e più che altro decisi a portare a termine la competizione e per assicurarsi le mille lire riservate agli atleti classificati di terza serie.

Gara senza più storia, dunque. Una marcia trionfale per Dordoni, nettamente in vantaggio sul torinese Bertolini, campione uscente, su Arcangeli, Taroni, sul fratello minore Carlo, su De Palo e Baldassarre, un romano quest’ultimo, un curioso tipo di zingaro che si nutriva di carne cruda e dormiva sotto i ponti del Tevere.

Nonostante il controllo esercitato dai giudici un concorrente (si dice il peccato, non il peccatore …) trovava il modo di farla franca alo momento di scendere da un’ambulanza dove era stato ospitato da compiacenti soccorritori quand’era in crisi: avrebbe dovuto ritirarsi invece, incoraggiato magari dagli stessi addetti ai lavori, si era rimesso in marcia piazzandosi tra i primi dieci ed assicurandosi in tal modo qualche liretta in più delle mille previste per gli altri arrivati in tempo massimo.

Quanto ai due sardi, uno di essi, Gallus, aveva a metà gara accusato forti dolori intestinali. Doveva trattarsi, più verosimilmente, di crampi da fame, forse intervenuti in seguito al mancato rifornimento. Avrebbe voluto ritirarsi ma un pizzico d’orgoglio unito alla prospettiva di incassare i premi che gli spettavano finivano per prevalere. Per farlo proseguire, quando mancavano meni di cinque chilometri al traguardo dell’Amsicora, chi lo seguiva in bicicletta era riuscito a procurarsi un panino imbottito che veniva agitato in continuazione quasi a significare “vai al traguardo e lo avrai tutto per te”. Così l’amsicorino, un modesto operaio di Selargius, riusciva a portare a termine la gara più importante della sua vita ed a mettere in saccoccia le duemila lire. Ultimo, si, ma in tempo massimo, preceduto da Dessì.

Per la cronaca il neo campione Dordoni aveva fatto registrare il tempo di 4h38’04”, un minuto e trentanove meno di Bertolini. Più lontano tutti gli altri (dodici gli arrivati in tempo massimo).

Calava così la tela sulla prima competizione tricolore disputata in Sardegna, nobilitata dall’impresa di un grande campione. I dirigenti sardi della FIDAL potevano attribuirsi il merito di aver superato la prova del fuoco, visto che tutto era andato per il meglio. Ma prima di affrontarne un’altra sarebbe trascorso molto tempo.

Angelo Carrus (tratto da ATLETICA SARDA IN CIFRE ANNO 1994)



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