Smith e Juantorena Tributo a Mennea

07 Settembre 2013

I due campioni sono in Italia per ricordare lo sprinter azzurro. Nelle loro parole, il racconto di imprese che hanno fatto la storia dello sport

“Ricordo perfettamente quel dodici settembre 1979. Quando seppi che il mio record del mondo, il 19.83 di Messico, era stato battuto da Pietro Mennea, fui comunque felice: a superarlo era stato un uomo che, come me, aveva dedicato la vita all’atletica, un uomo che meritava rispetto”. Tommie Smith, la leggenda dell’atletica mondiale, l’uomo che con il suo gesto di dissenso a Mexico 1968 segnò uno dei momenti chiave della storia dello sport (il celebre pugno nero alzato al cielo sul podio olimpico, insieme al compagno di nazionale John Carlos, per protestare contro il razzismo) ha il carisma dei leader. E’ in Italia da ieri mattina, giunto nel nostro paese, insieme ad un altro mito come Alberto Juantorena (campione olimpico di 400 e 800 metri a Montreal 1976, primatista del mondo degli 800), proprio per ricordare Mennea. Che omaggeranno anche nel "Mennea Day" di giovedì prossimo.  La prima tappa del viaggio italiano è Rieti, e la sala consiliare, aperta in occasione dell’incontro pubblico con i due miti, è stracolma di gente. Raccolta in silenzio, sindaco Simone Petrangeli in testa (con al fianco l’organizzatore storico di Rieti, Sandro Giovannelli), per ascoltarli.

Smith, si è mai chiesto quale sia stato il prezzo che lei ha pagato per quel gesto?

“Non so quale sia stato il prezzo, e sinceramente non so cosa io abbia perso. Ma so perfettamente quel che ho guadagnato: quel gesto ha fatto di me una persona diversa, è stato decisivo per me dal punto di vista umano, e ha cambiato il mio approccio alle persone ed alla vita. No, quello non fu un gesto violento, ed io non sono mai stato un violento: il fatto che io non sorrida spesso porta ad equivocare. E quand’ero giovane non avevo bisogno di particolari punti di riferimento: mi bastavano un paio di pantaloni, lunghi abbastanza per le mie gambe, ed una Bibbia”.

Alberto Juantorena, quali i suoi ricordi di Mennea e dell’Italia?

“La mia vita sportiva è marchiata Italia al cento per cento. Qui ho fatto le prime esperienze internazionali, ed in particolare nel 1972 persi, anzi, fui distrutto, da Marcello Fiasconaro sui 400 metri. Una sconfitta che mi diede energie per il prosieguo della carriera. E devo ammettere che pensai a quella gara quando, nel 1976, riuscii finalmente a battere il suo record del Mondo degli 800 (1:43.5 a Montreal 1976, due decimi meglio del crono stabilito dall'azzurro all’Arena, nel 1973, ndr). Mennea era un atleta ed un uomo straordinario. Era chiuso solo all’apparenza, ma aveva tanto da dire. Seppe interpretare magistralmente la sua esperienza di atleta. E’ stato una vera icona dello sport mondiale, non solo di quello italiano”.

Juantorena, lei è stato l’unico atleta in grado di interpretare ai massimi livelli mondiali 400 e 800 metri. Come mai non ci sono stati altri capaci di fare altrettanto?

“Ogni atleta è diverso dall’altro, e vive la propria epoca. In me, il mio allenatore trovò qualità fisiche e psichiche per riuscire in quella che io considero una accoppiata abbastanza innaturale: 100 e 200 sono una famiglia, così come 800 e 1500, ma 400 e 800, no, proprio non hanno nulla in comune… Io non fui subito d’accordo con il mio coach, anzi, posi molte resistenze. A posteriori, credo che il salto dai 400 agli 800 sia stato più alto di quello di Sotomayor... Trovarono però una strada per convincermi, proprio qui in Italia, al meeting di Formia, organizzato dal mio amico Elio Papponetti. Feci “spontaneamente” da lepre per 600 metri in una gara di 800, con un passaqggio richiesto in 1:17; io valevo qualcosa come 1:14, 1:14.5, e quindi, per me, era come passeggiare…arrivato ai 600 ero così fresco che decisi di proseguire fino al traguardo, e ottenni 1:45.32.

Così capii che potevo farcela, e che, sì, il mio allenatore aveva ragione”.

Lei, Smith, invece, non corse mai con regolarità i 400 metri. Crede che quella avrebbe potuto essere la sua vera gara? Nel 1967, in una rara incursione sul giro, ottenne anche il record del mondo, correndo in 44.5.

“Sì, è vero, i 400 metri erano probabilmente la gara per me. Ma l’allenamento per quella gara, no…non era quello giusto per me. Avrei potuto essere anche un buon decatleta, ma mi chiedevo: perché fare dieci gare per vincerne solo una?”.

E quell’arrivo a braccia alzate, sempre nei 200 di Messico, gettando al vento centesimi (decimi?) preziosi, lo rifarebbe?

“Vi dirò una cosa: io affrontati la finale olimpica con un lieve infortunio alla gamba sinistra. Correre la curva, per me che sono alto 1,93, non era un cosa da poco. E questo, nei turni, aveva prodotto dei danni. Quindi, nella prova decisiva, affrontai i primi 100 metri con moderazione; poi, sul rettilineo, diedi tutto quel che avevo. Quando superai Carlos, capii che ce l’avevo fatta, e che avevo anche tempo per manifestare tutta la mia felicità…”.

Ma chi è il più grande velocista di sempre?

“Jessie Owens fu un grande sia come atleta che come persona, e fu anche abusato dal sistema. Devo poi dire che a mio parere alcuni grandi atleti di oggi sono tali anche per il progresso della ricerca e delle tecnologie. In definitiva: Bolt è il più grande oggi, piace anche per il suo essere giamaicano (l’amore per la musica, il ballo…) oltre che per le sue doti, e sì, credo possa correre in meno di 19 secondi i 200 metri. Il confronto con Carl Lewis è difficile, bisognerebbe vederli davvero l’uno contro l’altro: Lewis era anche un grande saltatore in lungo, Bolt non lo abbiamo mai visto all’opera… I 600 metri contro Mo Farah? Credo che Bolt abbia più chances, è molto più veloce”.

Smith, cosa consiglierebbe ad Andrew Howe per tornare grande?

"Direi solo che il tempo è fondamentale. Gli atleti hanno bisogno di tempo per maturare, così come gli infortuni per guarire"

Il doping ha scosso l’atletica. Lei, Juantorena, che ne pensa?

“Il doping va combattuto sempre. Il messaggio che deriva dall’uso delle sostanze dopanti è sempre negativo. La responsabilità sono di tanti, non solo degli atleti. Ma io dico che si possono ottenere grandissime cose anche da “puliti”, e noi due, io e Tommie Smith, siamo la testimonianza di tutto ciò. Questo è il messaggio che va dato ai giovani: si può essere atleti straordinari senza doping”.

Il mondo sta vivendo un momento drammatico: la crisi siriana rischia di produrre danni incalcolabili.

“L’uso della forze – parole di Juntorena – la guerra, i missili, non sono mai la miglior opzione possibile. Bisogna lavorare, impegnarsi, sul fronte diplomatico, lasciando al popolo sempre la possibilità di autodeterminare il proprio futuro. Credo che sarebbe fin troppo facile immaginare la reazione di chi, tra i presenti, dovesse subire un lutto familiare derivante da una bomba lanciata per risolvere problemi”. “Non sono un politico – la risposta di Smith – ma ho bisogno sempre di capire. E quello che non capisco è che vengano prese delle vite senza una ragione. Sta ai politici decidere. Dal mio punto di vista spero e prego perché si esca dalla situazione con la miglior scelta possibile”.

Juntorena, qual è il segreto dello sport cubano?

“E’ l’educazione fisica. Abbiamo 78.000 insegnanti di educazione fisica (uno ogni 2,6 studenti) che preparano la base dei nostri giovani. Poi, abbiamo allenatori qualificati, regole precise, ricerca. Ma la ricchezza più importante resta l’uomo. No, non vogliamo esportare altrove il nostro modello. Da noi funziona. Ci basta”.

Marco Sicari



Condividi con
Seguici su: