Owens-Peacock, la vittoria dell'amicizia

01 Maggio 2017

La storia di una rivalità che è stata tale solo in pista tra il mito Owens e l'uomo che, il 4 luglio del 1935, riuscì a sconfiggerlo per due volte

di Giorgio Cimbrico

“Non si può passare la vita pensando a come poteva andare”: un capolavoro di presa di coscienza, un modo per scacciare il rimpianto, mettere in fuga la tristezza, come consigliava una vecchia bossa nova. E’ andata così, diceva Eulace Peacock, senza tirare fuori le parche, le onde del destino, gli strali del fato che tormentavano il povero Amleto. Poteva essere il più grande e invece finì nella Guardia Costiera, aprì un negozio di liquori, affittò auto e diede vita a un commercio di carne confezionata con quello che lui batteva, che passò alla leggenda e che mai smise di essere un amico: Jesse Owens.

Eulace e Jesse erano paesani e eredi di famiglie che si erano massacrate schiena e mani per raccogliere il cotone: luoghi di nascita, Dothan, capitale mondale delle arachidi, il primo; Oakville, il secondo. Nell’uno e nell’altro dei casi, lo stato è l’Alabama dove deve scorrere una linfa speciale: nel ’61 a Birmingham vide la luce Carl Lewis. La famiglia Owens andò a cercare miglior vita a Cleveland, Ohio; i Peacock a Union, New Jersey.

Jesse era del ’13, Eulace del ’14 e il suo primo acuto è del ’33: a 19 anni salta 7,42, record dello stato per 40 anni. Il 6 agosto 1934, al Bislett di Oslo che stava iniziando la sua infinita collezione di record, corre in 10.3 e affianca Percy Williams, Eddie Tolan, Ralph Metcalfe. Il quartetto dovrebbe essere un quintetto (Erich Borchmeier sfreccia in 10”3 nel giro di tre settimane a Berlino e a Francoforte, ma la federazione tedesca lo riconosce solo come record nazionale) e diventa un sestetto quando, venti giorni dopo, il record del mondo viene uguagliato ad Amsterdam anche dall’olandese Christian Berger. Quel tempo sembra invalicabile. Ci sbatte due volte contro ancora Metcalfe e alla compagnia si aggiunge, nel ’35, il giapponese Takayoshi Yoshioka.

“Nessuno correrà mai in 10 secondi”, azzarda qualcuno, timoroso di inoltrarsi sui sentieri di fantasiosi limiti umani. I 10.2 ventosi (ma con quanto vento?) del cubano José Barrientos e del brasiliano José de Almeida sono ammantati di ombre, in realtà più per il cronometraggio che per l’intensità della brezza a favore. Soltanto nel ’36, al congresso che la Iaaf tenne durante i Giochi di Berlino, venne codificato il confine della legalità a 2,0. In questo senso, Eulace venne defraudato di un record del mondo, sia pure temporaneo: il 4 agosto 1935, a Lincoln, Nebraska, vinse la batteria dei Campionati dell’AAU in 10.2, con un vento registrato al centimetro, 2,22. Forte, non fortissimo. Battuto Jesse che veniva dal “giorno dei giorni” di Ann Arbor: sei record mondiali, su yards e metri, battuti o eguagliati nel baleno geniale di 45 minuti.

Se Owens aveva avuto il suo 25 maggio, Peacock ebbe il suo 4 luglio ricco di fuochi d’artificio, con un vento di coda più sostenuto, 3,47, replicò in 10.2 regolando Metcalfe e Owens, che finirono a un metro, per un tempo stimato in 10.3. Più tardi – non è stato possibile rinvenire il lasso di tempo trascorso – Eulace piegò Jesse anche nel lungo in quella che venne definita a ragione la più grande gara di sempre: Peacock 8,00 (secondo nella storia a toccare la quota), Owens 7,98, eguagliando il vecchio mondiale del giapponese Chuhei Nambu che con 8,13 aveva distrutto nel suo unico tentativo del 25 maggio.

E’ giusto precisare che, ad Ann Arbor, Peacock non era presente: gareggiava per la Temple di Filadelfia, non compresa nelle Big Ten. Per il potente ragazzo era la settima vittoria in dieci confronti con il lieve Owens, che, secondo un giudizio dell’epoca, sembrava rotolare su un tappeto di piume. Le stagioni dell’atletica non erano frenetiche come oggi, ma gi appuntamenti non mancavano: dopo la lunga traversata e un trasferimento in treno, eccolo di scena il 6 agosto a Basilea, per eguagliare il record del mondo. Il 10.4 accreditato al secondo, lo svizzero Paul Hanni, testimonia di una certa generosità nel cronometraggio. Il primo campanello d’allarme suona qualche giorno dopo, all’Arena di Milano, quando Eulace si rialza stringendo una mano sul fascio dei muscoli posteriori della coscia.

L’amichevole rivalità con Jesse vive una giornata esemplare sul finire dell’inverno del ’36, a Columbus, per un faccia a faccia sulle 50 yards: vince il padrone di casa che, dopo aver notato che l’ospite è incespicato in partenza, offre un’immediata rivincita. E questa volta il successo è di Eulace. Il giorno del fulmine che colpisce ancora l’albero senza lasciare scampo è il 24 aprile, in quella che è già una classica, le Penn Relays: è in una frazione di staffetta che il muscolo che trasmette l’impulso cede di schianto. Due mesi dopo, allo Stagg Field di Chicago, Jesse diventerà campione Ncaa in 10.2 con poco più di un metro a favore. Solo in vetta, pronto per Berlino. “Inutile asciugarsi le lacrime, è andata così”, disse Eulace che in vecchiaia non riuscì ad avere la meglio su uno spietato avversario dal nome tedesco, Alzheimer.

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