Olimpiadi: Harting, fratelli d'oro

13 Agosto 2016

Quattro anni dopo Robert, è il fratello minore Christoph a conquistare il titolo olimpico del disco con 68,37 all'ultimo lancio

di Giorgio Cimbrico

Dopo quel che è capitato, Piotr Malachowski ha capito che con gli Harting è meglio non avere a che fare. Non c’è Robert, detto l’Incredibile Hulk per via delle magliette lacerate, campione olimpico in carica sino a poche ore fa, più volte giustiziere del polaccone. Per Piotr sembra fatta: è in testa dall’inizio – 67,32, 67,55 – e di solito le finali del disco vanno in calando, ma qui succede di tutto: l’estone Martin Kuiper sale a 66,58, l’altro tedesco Daniel Jasinski a 67,05. Christoph (che è il più piccolo dei fratelli, quasi 26 anni contro 32, ma è anche il più alto: 2,01 Robert, 2,05 lui) a questo punto, con 66,34, è fuori dal podio. Le ali da albatros si spiegano e la destra spinge il disco verso un lungo volo: 68,37, record personale al momento più giusto che ci sia. All’ultimo lancio.

Malachowski, incoraggiato da un parterre de roi (c’è Anitona Wlodarczyk, c’è Tomasz Majewski), piomba nella tenebra ma in quel buio qualcosa di chiaro riesce a inquadrarlo: Berlino, Mondali 2009, in testa c’è lui e Harting I, Robert, all’ultimo lancio spara a 69,43, record personale, sbattendolo al suolo. Prima di agganciarsi con le mani alla rete, come un orso catturato, Pietrone sfarfalla sino a poco più di 65. Non c’era Robert, che al rientro da un periodo tribolato va fuori in qualificazione per poco più di mezzo metro. Ma c’è Christoph: “Se non ci riesco io, ci pensa mio fratello”. Fatto.

Abbracci e congratulazioni: i giganti, è noto, non sono isterici e fra di loro mostrano una cordialità genuina. Ma la curiosità è come un mirino collimato su Harting II. Imiterà suo fratello e darà inizio a festeggiamenti selvaggi, con lacerazioni di indumenti etc? Neanche per idea: si inchina ai quattro punti carnali come facevano i domatori di leoni o i prestigiatori in marsina.

Gli Harting hanno fisici fantastici: oltre  due metri e senza un filo di grasso, sui 120 kg. Normale che sia così: vengono da Cottbus, Brandeburgo, la regione che alimentò le fanterie di Federico il Grande, Fritz der Grosse, che disponeva di reggimenti di granatieri giganteschi.

Loro sono gli eredi: moderni titani, cresciuti in una famiglia dove scagliare attrezzi era una consuetudine praticata sia da mamma che da papà.

Non è la prima volta che nati nello stesso ambito famigliare lasciano profondi segni olimpici (le sorelle Tamara e Irina Press conquistarono il successo nel peso e negli 80hs a Roma ’60, nel disco e nel pentathlon a Tokyo ’64), ma l’unicità degli Harting Brothers è data dal passaggio di consegne. A Londra, oro a Harting; a Rio oro a Harting. Cambia solo l’iniziale del nome. Se Mirone fosse ancora vivo, li interpellerebbe per un raddoppio della famosa statua: titolo, i Discoboli.

Nell’atletica si respira spesso aria di famiglia: è bello, confortante, dà l’idea che l’esercizio fisico sposi una filosofia, vada a braccetto con una serie di valori. Michelle Carter, un’altra che ha aspettato l’ultimo lancio per organizzare la fregatura ai danni di Valerie Adams, è la figlia di Michael Carter, piegato di 17 centimetri da Alessandro Andrei nella finale di Los Angeles 1984. Michael si sarebbe consolato sei mesi dopo, vincendo il Super Bowl con i San Francisco 49ers. L’eptathleta ungherese Gyorgyi Zsivotzky-Farkas è la moglie di Attila, eccellente decathleta ed era la nuora di quel buonanima di Gyula, tre volte sul podio olimpico del martello e campione nel ’68. E un soffio antico, ricco di affetto, è stato offerto dal sorriso radioso di Maria Benedicta Chigbolu: sessant’anni fa a Melbourne in pista per la Nigeria andò suo nonno.

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Rio 2016: il podio del disco vinto da Christoph Harting (foto Colombo/FIDAL)


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