Lusis, se ne va l’uomo con il braccio di platino

30 Aprile 2020

L’addio al giavellottista lettone medaglia d’oro ai Giochi di Città del Messico 1968, quattro volte campione europeo

di Giorgio Cimbrico

Poco prima di toccare gli 81 anni se n’è andato Janis Lusis: è stato un cancro, la pandemia non c’entra. Se nel giavellotto ci sono stati molti uomini con il braccio d’oro il suo era di platino. Janis, che dall’Urss ebbe l’ordine della Bandiera Rossa, era fiero di essere lettone, nato sul Mediterraneo del nord. “Il giavellotto è riservato a noi baltici”, disse un giorno, con sicurezza mista a orgoglio.

Le sue parabole sono state disegnate nella parentesi lunga che va dagli esordi degli anni Sessanta alla seconda parte dei Settanta. Il raccolto di una vita: tre medaglie olimpiche (nell’ordine, un bronzo, un oro, un argento), quattro titoli europei di fila, dal ’62 al ’71, dodici titoli sovietici, due record del mondo, due stagioni di imbattibilità, il matrimonio con Elvira Ozolina, la bella di Leningrado vittoriosa a Roma ’60 ovviamente nel giavellotto, un figlio, Voldemars, che seguì la traccia lasciata in pedana e nel cielo dai genitori.

In gioventù decatleta non lontano dagli 8.000 punti, Janis era un agonista eccezionale, in possesso di quella forza interiore che altri baltici profondi adepti della disciplina, i finnici, chiamano “sisu”. Una prima prova la offrì nel ’68, a Messico, dove si era presentato reduce dal record mondiale che proprio in Finlandia, a Saarijarvi, aveva portato a 91,98, con altre sei competizioni oltre quota 90. All’ultimo turno comandava l’ungherese Gergely Kulcsar, secondo quattro anni prima a Tokyo davanti a Lusis, e dietro a Pauli Nevala. Janis fece saltare il banco spedendo l’aliante a 90,10. A quel punto fu costretto ad attendere l’estremo tentativo di ribaltamento di Jorma Kinnunen: 88,58, poco per scalzarlo.

L’anno dopo sposò Elvira, conquistò il suo terzo titolo europeo al Pireo con 91,52, chiudendo un’altra stagione da imbattuto e marciò verso il poker di due anni dopo a Helsinki, nello stadio dalla torre razionalista alta quanto l’ultimo record mondiale di Matti Jarvinen. Il keihas, il giavellotto nella lingua di Suomi, si piantò a 90,68, cinque metri abbondanti sul più vicino degli avversari.

La sua dote di magnifico combattente brillò cristallina nel giorno della sconfitta: capitò a Monaco di Baviera, il 3 settembre 1972 dove era arrivato dopo aver spostato il record del mondo, a Stoccolma, a 93,80. Dopo aver condotto a lungo, venne superato al quinto turno da Klaus Wolfermann, bavarese dal pizzetto mefistofelico: l’Olympiastadion salutò quel 90,48 con un gigantesco “Ja”. Lusis rispose da par suo e durante quel volo, e la misurazione, la tensione creò vortici: 90,46, due centimetri, il più piccolo margine nella storia. Con qualche insinuazione e qualche voce malevola sulla partigianeria dei giudici.

Lusis abbracciò Wolfermann e tra i due nacque una profonda amicizia e un’assidua frequentazione. Bambino, durante la guerra, aveva assistito all’esecuzione di suo padre da parte delle truppe tedesche d’occupazione, ma quel trauma non gli impedì di render saldo quel rapporto nato nella più gloriosa giornata da sconfitto che un campione possa augurarsi.

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