La vittoria di Eugene

21 Aprile 2015

Nel 2021 per la prima volta i Mondiali di atletica si disputeranno negli Stati Uniti

di Giorgio Cimbrico

Eugene, contea di Lane, Oregon, 156.000 abitanti al censimento del 2011: mai una città così piccola aveva avuto in sorte l’organizzazione di una manifestazione così grossa, il Mondiale di atletica del 2021. Record precedente, conteso tra Stoccarda e Helsinki che gravitano sui 600.000 cittadini. Il non luogo Daegu, Corea del Sud, ne aveva più o meno il doppio e aveva l’indubbio vantaggio di essere il quartier generale della Samsung.
Anche Eugene ha un quartier generale, quello della Nike, che loro – e ormai quasi tutti - pronunciano naiki e che in greco significa vittoria. E così, dopo esser stati costretti ad arrendersi per il 2019 a Doha (quartier generale dei soldi), hanno vinto, con l’impegno che allargheranno lo stadiolo di Hayward Field che è delizioso ma che oggi appare come un maxi-campo scuola. Chi si è spinto sin lassù per i Mondiali juniores dell’anno scorso o chi ha visto in tv di notte (tra noi e l’Oregon, nove ore di differenza), ha avuto questa impressione: tende, chioschi, barbecue, un’atmosfera rilassata, perfetta. Ma un po’ di struttura va edificata, non c’è dubbio, anche se è naturale pensare che dall’Europa o dagli altri continenti non arriveranno orde di tifosi.

In preda a un certo orgoglio, Eugene da tempo ha deciso di appiccicarsi addosso l’etichetta di capitale mondiale dell’atletica. O sarebbe meglio dire della corsa.

Il jogging è nato da quelle parti sotto la spinta di Bill Bowerman e i larghi tracciati anti-stress con il fondo in minuti pezzi di corteccia (che provocarono l’ormai antico entusiasmo di Alberto Cova) ne hanno costruito la fama di luogo ideale. La fortuna e il denaro, che spesso vanno a braccetto con il potere e la gloria, sono venuti quando Bowerman ha incontrato Phil Knight e insieme hanno fondato l’azienda con lo sbaffo che battaglia con quella a tre strisce per il dominio del mondo e che di recente non si è fatta un problema a concedere un nuovo ricco contratto a Justin Gatlin il reprobo.

Malgrado la sua posizione in pieno nord-ovest, la verde Eugene, patria anche di un movimento ecologista anarchico, non è un luogo dagli inverni rigidi e da quasi mezzo secolo è diventata il punto di riferimento e il buon soggiorno dei mezzofondisti americani. Il volto che provoca commozione è quello di Steve Prefontaine che in Oregon era nato (a Coos Bay) e che a Eugene morì 40 anni fa, a 24 anni, in un incidente stradale, stesso drammatico destino di altri grandi della corsa, da Bronislaw Malinowski a Ivo Van Damme. Mary Decker, dopo lungo girovagare negli States, lì ha comprato una tenuta di campagna e Alberto Salazar, origine cubana, ci ha passato anni, per dispensare ora il suo sapere tecnico a cui attingono in tanti, a cominciare da Mohammed Farah, specialista in doppiette e in ultimi giri al fulmicotone.

Oggi il simbolo è Ashton Eaton, il Tiger Woods dell’atletica, nato non lontano, a Portland, ma che a Eugene ha regalato il record mondiale di decathlon, 9039 punti ai Trials olimpici prima di Londra, aggiungendo tredici punti al limite del buon soldato Roman Sebrle. Per molti il decathlon è il simbolo, la summa dell’atletica, e da quel momento Eugene si è sentita investita da una missione. E ha avuto la sua Nike, prego, la sua vittoria.



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