La marcia olimpica di Roma 1960

08 Aprile 2016

Il 7 e 8 maggio la marcia mondiale torna a Roma sulle tracce dei Giochi del 1960.

L’appuntamento romano con i Campionati del Mondo di marcia a squadre del prossimo 7 e 8 maggio vedrà sfilare per le strade della Capitale marciatori provenienti da ogni angolo del pianeta, così come era avvenuto nel lontano 1960 durante i Giochi Olimpici. Ecco cosa accadde in quell’occasione.

La terza giornata dell’atletica ai Giochi di Roma, il 2 Settembre 1960, vide scendere in strada anche i marciatori della 20 km per l’ultima medaglia da assegnare della giornata. Erano le 16:30 quando i 36 partecipanti alla competizione presero il via sul percorso allestito nei pressi del Foro Italico, da percorrere in più giri per arrivare a quei 20 km che per la prima volta debuttavano ai Giochi olimpici, in sostituzione della più praticata distanza dei 10 km, giudicata a quell’epoca già troppo veloce. Tra i marciatori in gara avevano i favori del pronostico diversi sovietici, rappresentanti di una scuola che cominciava a farsi largo sul panorama internazionale e che già aveva prodotto il campione europeo, Anatoly Vedyakov. Proprio lui era tra i favoriti a Roma, anche se il caldo estivo di una città ancora con temperature oltre i 30°C avrebbe potuto tradire sul più bello. Cosa che accadde puntualmente, con Vedyakov che lungo il tracciato perse contatto con la testa del gruppo, trainata con vigore dal connazionale Vladimir Golubnichy. Quest’ultimo sembrava non soffrire più di tanto il caldo, e a parte un calo nel tratto conclusivo, con il recupero progressivo dell’australiano Noel Freeman, fu lui a conquistare l’oro olimpico, con Freeman secondo e l’inglese Stanley Vickers, terzo, in attesa del ben più impegnativo dei 50 km di marcia quattro giorni più avanti. 

La partenza della 50 km di marcia era fissata alle ore 14:15, orario non ideale per una gara così lunga, soprattutto considerando che ci si trovava ancora ai primi di settembre e la temperatura a quell’ora andava oltre i 30°C. I concorrenti in gara erano appena trentanove, di cui solo in ventotto giunsero al traguardo, a sfidarsi su un lungo percorso che dallo Stadio Olimpico tirava dritto sul Lungotevere fino ad arrivare al piccolo agglomerato rurale di Acilia, per poi tornare verso il Foro Italico e completare il circuito. Gli atleti, nonostante il caldo, avrebbero dovuto impiegare un tempo al di sotto delle 5 ore, incitati dai tanti romani sparsi lungo il tracciato. Ma 50 km di marcia non erano uno scherzo, la reazione del fisico a certe condizioni climatiche avrebbe potuto compromettere proprio sul più bello anni di preparazione all’evento. Ne sapeva qualcosa il mingherlino Donald Thompson, britannico del Middlesex, 27 anni e una gran voglia di rivincita per quante ne aveva passate nel suo travagliato rapporto con lo sport. Prima la rottura del tendine di Achille lo aveva costretto ad abbandonare la corsa per dedicarsi alla marcia, poi ai Giochi di Melbourne del 1956 la perdita dei sensi per il gran caldo ad appena cinque chilometri dall’arrivo, quando ricopriva la quinta posizione.

Quel crollo fisico fu un vero e proprio trauma per il piccolo inglese, che da quel momento pensò a come allenarsi anche nella resistenza alle alte temperature ed all’umidità propria di un clima estivo come quello romano. Nel 1958 intanto, vincendo la 100 km lombarda organizzata dalla Gazzetta dello Sport, si ritagliò il soprannome di “Topolino”, alla luce proprio del fisico minuto e dell’azione incessante in gara. Ma il capolavoro lo costruì con i suoi particolari metodi di allenamento, che consistevano, tra l’altro, in sedute di esercizi in casa con pentole sul fuoco e acqua bollente a scorrere in bagno per cercare di innalzare l’umidità e la temperatura delle stanze, replicando una calda giornata estiva. Il frutto di tali allenamenti lo raccolse sulle strade di Roma, quando la sua sagoma caratteristica, con occhiali da sole, cappellino e fazzoletto svolazzante dietro la nuca, cominciò a prendere il largo sul gruppo già a metà percorso. Un momento di debolezza fu quello che lo vide recuperato e superato dallo svedese John Ljunggren, campione esperto già oro ai Giochi di Londra nel 1948 e bronzo nel 1956 a Melbourne. Ma stavolta Donald Thompson non avrebbe consentito a nessuno di portargli via il suo sogno. La sua rimonta fu incalzante ed impietosa, lo svedese al 45° km venne ripreso, poi con la sola forza della determinazione, il britannico da lì in avanti accumulò secondi preziosi di vantaggio fino ad apparire da solo all’ingresso nello Stadio Olimpico. La smorfia in viso ed un’andatura ormai appesantita dalla fatica lo portarono fin sotto il traguardo, per quella che fu la medaglia d’oro peraltro nel nuovo record olimpico di 4h25:30. Dietro di lui arrivò lo svedese Ljunggren, e quindi l’italiano Abdon Pamich, ma questa è un’altra storia.  

 

Fonti:

L’Olimpiade dal volto umano – Marco Impiglia

Rapporto Ufficiale Giochi Olimpici Roma 1960

 

S.P.



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