La carica umana di Marcello Vicerè

30 Aprile 2017

"L'atletica raccontata". Intervista a Marcello Vicerè, responsabile settore mezzofondo Abruzzo 

di Orlando Del Grosso

Mettiamo per un attimo da parte il precedente filone di storie e torniamo a parlare, hic et nunc, della nostra atletica. Il qui ed ora ci dice che tra i tanti atleti di talento che stanno crescendo, abbiamo due atlete che hanno tutte le carte in regola per giocarsi la convocazione agli Europei Under 20 che si terranno a Grosseto in estate. Con le ragazze abbiamo già parlato qualche tempo fa. Ora, ci sembra giusto sentire chi le allena; chi vive con loro i sacrifici, le fatiche, le gioie, le delusioni e, perché no, anche i sogni. Il primo che andiamo a coinvolgere è Marcello Vicerè, tecnico della Atletica Gran Sasso Teramo, responsabile tecnico regionale del mezzofondo, giudice di gara e allenatore di Gaia Sabbatini. Insomma, una sorta di one man band di inestimabile valore, sia dal punto di vista umano che tecnico.
Molti di quelli che vivono la nostra atletica, che la fanno nel senso più profondo del termine "fare", meriterebbero l’esposizione dei propri ritratti in una hall of value – “fame” non mi piace - destinata all’imperitura frequenza da parte di giovani scolaresche. Non ho le abilità artistiche necessarie per creare ritratti fieri ed epici, ma per quello che mi è concesso, cerco di trasformare le parole in affreschi narrati da lasciare a chi avrà la voglia di conoscerci. Il profilo che normalmente contraddistingue un ritratto,  nel caso di Marcello avrebbe le linee di una persona delicata nei modi, ma effervescente nel trasmettere le emozioni; umile nel confronto, ma fermo e sicuro quando si tratta di guidare gli atleti. Avrebbe il sorriso di un buon padre di famiglia e gli occhi di chi ancora si diverte nel mettersi in gioco e imparare. Chiudo qui questo preambolo, passando la tela al protagonista.

Ciao Marcello, benvenuto nella nostra rubrica. Prima di entrare nel racconto del tuo “essere” in atletica, raccontaci come sei arrivato all’atletica, quali strane strade ti hanno portato al track & field?

Ciao Orlando e grazie per l’invito. La mia esperienza nello sport in generale, e nell’atletica leggera, inizia da adolescente. Non dimenticherò mai quegli anni. Erano anni vissuti al campo scuola, un periodo fatto di allenamenti e gare condivise con un gruppo di amici, che poi ho ritrovato nel corso della mia vita. Come tutte le cose importanti della vita te le porti dentro e, anche se smetti per un periodo di tempo perché le circostanze della vita ti portano verso obbiettivi importanti come lavoro, famiglia, figli, prima o poi tornano a pulsare. Nel mio caso, è stato mio figlio a riaccendere la fiamma. Lui amava, tra le tante sue passioni, l'atletica e le corse in particolare, e con la sua spinta, mi sono ritrovato nuovamente sui campi. Come diceva il testo di una canzone “i veri amori fanno giri immensi e poi ritornano”.

Spulciando il tuo profilo facebook, ho notato delle fotografie di una iniziativa fatta con il CSI, al campo scuola di Teramo, alla quale hanno partecipato dei ragazzi diversamente abili e alcune delle tue atlete, tra cui Gaia. Se ci aggiungiamo che qualche anno fa sei stato il fautore, assieme ad Eleonora Corona, di una favola sportiva che ha visto l’atleta teramana vincere due medaglie alle Olimpiadi per trapiantati in Sudafrica nel 2012, emerge un aspetto del tuo “fare” sport, che forse in pochi conoscono. Raccontaci questo tuo impegno in quella parte dello sport dove sono richieste, prima ancora che capacità tecniche, sensibilità ed empatia.

La fortuna  di poter condividere con dei ragazzi speciali - perché credimi lo sono in fatto di umanità, affetto e sincerità - è qualcosa che mi riempie di gioia. Trasmettere la mia passione a ragazzi e ragazze con caratteristiche speciali, e vederli gioire delle cose che riescono a fare, ti ripaga di qualsiasi sacrificio e impegno. Siccome credo che veramente questo genere di esperienze, migliori la vita, cerco di coinvolgere anche le ragazze che alleno, vedi Gaia e Francesca e tante altre, e devo dire che lo fanno con grande piacere. Il CSI ha creato per questi ragazzi speciali, progetti assolutamente validi, ed io che collaboro con loro, ne sono entusiasta a tal punto che mi faccio coinvolgere emotivamente.
Eleonora Corona è stata ed è una meravigliosa storia di traguardi che inizialmente sembravano irraggiungibili . Quando venne da me chiedendomi di poterla allenare e soprattutto chiedendomi di portarla verso le olimpiadi dei trapiantati in Sudafrica, mi spaventai. Ma lei, che comunque la sua medaglia d'oro l'aveva già vinta con un cuore nuovo, mi rasserenò con la sua volontà e determinazione. Caratteristiche che poi  l'hanno portata a vincere altre medaglie tra olimpiadi e campionati europei. Per realizzare questa favola, ho dovuto “mettermi da parte” e dedicarmi a lei nel suo percorso fatto, oltre che di allenamenti quasi giornalieri, anche di controlli e monitoraggio dei suoi parametri fisici. L'aiuto di uno staff medico e del professor Mazzaufo è stato, poi, indispensabile per chiudere il cerchio di questa stupefacente avventura che Elenora mi ha permesso di vivere. Lo passione per lo sport è qualcosa di magico e la storia di Eleonora ne è la riprova

Una domanda su Gaia deve esser fatta. Ma, invece di parlare dei risultati, che sono di dominio pubblico, mi piacerebbe parlare del vostro rapporto e del modo in cui gestisci un’atleta “social” come lei. Gaia, nell’intervista rilasciata qualche mese alla nostra rubrica, ti definiva un secondo padre; ti definiva come una persona di fondamentale importanza per la sua vita, non solo da atleta. Responsabilità che tu, immagino, avverti costantemente. Si dice che all’atletica leggera manchino dei “personaggi” capaci di attirare l’attenzione del pubblico. Nell’era del digitale, dei social e della visibilità globale, avere atleti con queste capacità, sembra l’unica soluzione possibile per far uscire uno sport minore come il nostro dall’isolamento in cui il sistema sport lo ha relegato. Gaia, a mio avviso, ha anche questa capacità. Ha migliaia di followers sulle varie piattaforme social, è richiesta da televisioni, giornali e manifestazioni; ha uno sponsor personale e proposte universitarie provenienti da oltre oceano. Hai mai paura, però, che tutta questa pressione possa rovinare quanto di buono avete creato? Come si gestisce un’atleta con queste capacità?   

Prima di parlare di Gaia e del modo in cui gestiamo questa sua esperienza nello sport, concedimi di ringraziare la professoressa Marconi, che è stata la sua insegnate di educazione fisica alle scuole medie, e per prima si accorse delle sue qualità, portandola al campo di atletica. Molto spesso si parla di difficoltà a cedere gli atleti. Ecco, in questo caso, se Gaia  corre gli 800 è merito della professoressa Marconi, che dopo averla provata in varie discipline a lei affini, capì che nel destino della ragazza c’erano le distanze prolungate e, quindi, me la affidò. Fatta questa doverosa premessa, passo alla risposta.  Allenare Gaia è stato, ed è meraviglioso. Ogni singolo centesimo di quello che ha rosicchiato al cronometro se lo è guadagnato con il sudore. Sono stati anni di record, di risultati, di grandi gioie, ma anche di delusioni e dolori. La sua determinazione, la sua perseveranza, sono caratteristiche del suo carattere che ha ereditato dal padre, grande uomo di sport e imprese e, se mi è concesso, anche grande padre di famiglia. Quando il papà è venuto a mancare, lei ha risposto emulando la sua forza, mettendo in pratica i suoi insegnamenti. Quando corre, che sia un allenamento o una gara, lei corre con lui. Non so come spiegarlo, ma sembra come se nel correre, nel fare sport, lei riesca a mantenere il ricordo intatto e allo stesso tempo trasformarlo in presenza che le dà forza. Dico questo perché è utile per capire come per me sia facile gestire Gaia. Il profilo da te delineato è giusto, ma non vi è nessuna tensione, nessuna mia preoccupazione, perché lei è una ragazza che, nonostante il suo essere “social”, trasporta quello che è nello sport anche nella vita privata. Gaia è una ragazza pragmatica, ma profondamente legata ai valori semplici e sani della comunità in cui vive. Il suo lato “social” lo gestisce con equilibrio e, soprattutto, dandogli il giusto peso. Anche le proposte che arrivano, non sembrano cambiare ciò che ho detto. Io credo che ci sono cose, nella relazione tecnico-atleta, che non possono essere spiegate a parole, le senti dentro e poi adegui il tuo allenare ad esse. Non saprei dirti se ho più responsabilità con Gaia rispetto alle altre, perché con ognuna costruisco un rapporto, in base a ciò che sento necessario.  

Si parla di una flessione del movimento del mezzofondo, soprattutto in ambito giovanile. Sembra che questo settore, che tante soddisfazioni ha dato al nostro sport, sia sempre meno frequentato da parte dei giovani. Tu e le tue ragazze sembrate l’eccezione che conferma la regola. Lo scorso anno sei riuscito a trasformarle anche in staffetta 4x400, dove hanno ottenuto il minimo di partecipazione ai Campionati Italiani Allieve. Questa applicazione di gruppo sembra sconfessare l’incipit, ma i dati dicono altro. Secondo te, dove è il problema? E come si fa a far avvicinare i giovani al mezzofondo, disciplina che richiede un elevata capacità di sopportazione della fatica.

La corsa è la forma più naturale di movimento dopo la camminata. Purtroppo, è anche il movimento che non siamo più abituati a fare. Le cause sono molteplici e, sicuramente, l'agiatezza socio economica che abbiamo raggiunto non aiuta. Detto questo, noi allenatori dobbiamo entusiasmare, coinvolgere, appassionare quei ragazzi e ragazze che i genitori ci affidano, e che provano un minimo di piacere nell'arte della corsa e del mezzofondo in generale. Non è semplice! Sicuramente gioca il fattore del proprio coinvolgimento in questa disciplina. Se al giovane riusciamo a trasmettere entusiasmo anche nei piccoli gesti della corsa, la fatica viene vissuta come una forma di appagamento e non vista in modo traumatico. Certo, poi ci vuole il talento, ma per fare massa critica si deve lavorare sull’entusiasmo e il coinvolgimento. Le ragazze che alleno e che hanno avuto la gioia del risultato sulla 4x400, con la partecipazione ai Campionati Italiani, è la sintesi di un lavoro svolto con accuratezza da parte mia, ma che ha comportato anche mesi e mesi di attenzione, concentrazione e abitudine alla fatica da parte loro. Si deve tornare al bastone e alla carota, ma la carota deve essere rivisitata.

Quest’anno sei entrato a far parte dell’organigramma tecnico della FIDAL regionale, ovviamente nel settore del mezzofondo. In un certo senso, quindi, hai accolto anche tu l’invito del Fiduciario Tecnico alla collaborazione, alla condivisione, allo scambio. Dacci la tua visione di questa esperienza e rendici partecipi, se puoi, di quali sono i tuoi obbiettivi.

In tutti questi anni dedicati all’atletica leggera uno dei miei interlocutori per eccellenza è stato, ed è Guido Mariani. Con lui si è instaurato un rapporto di reciproca fiducia  e stima. Parlando, abbiamo scoperto, nel tempo, in riferimento al mezzofondo, che condividiamo gli stessi pensieri e progetti. Quindi, quando si è trattato di accettare la proposta di collaborare nel settore tecnico regionale, non ho avuto dubbi nel dire sì. Del progetto fino a qualche settimana fa facevano parte anche il professor Donato Chiavatti, mio maestro e punto di riferimento in tutto quello che so del mezzofondo, e Carlo Piersante. Adesso che sono solo - anche se ad onor del vero godo dell’aiuto di Guido Mariani- il progetto è diventato un sfida. Questa è una esperienza che, non lo  nascondo, è difficile, perché la diffidenza è ancora tanta. Ma sto trovando appoggio in altri colleghi e questo porterà a creare, progressivamente, un nucleo di ragazzi e ragazze dove l'obbiettivo principe sarà la condivisione di allenamenti di gruppo. Come dicevo, non sarà facile. Purtroppo la visione “egocentrica” di alcuni tecnici è difficile da scardinare. Cambiare è sempre difficile, lo so, ma so anche che ci dobbiamo adeguare alle nuove metodologie di lavoro, che sono ben diverse dal passato. Io voglio introdurre delle novità, che in parte ho recepito durante i raduni con la nazione giovanile. Non voglio sembrare arrogante, ma credo che se non si inizi a comprendere che vi è necessità di un cambiamento nel modo di fare mezzofondo, la situazione andrà a peggiorare. Recepire e condividere, queste sono le due parole chiave del mio operato.

Siamo all’ultima domanda, ahimè. Il fil rouge che unisce le mie domande parla di capacità umane, empatia, di sensibilità, di comprensione, di relazione tra tecnico e atleta. L’importanza di questi aspetti per lo sviluppo di un atleta/uomo può essere compresa da tutti, e la Fidal sempre più sta spingendo in questa direzione. Infatti, nei corsi di formazione tecnica sta aumentando la parte relativa alla psicologia dello sport. Secondo te, le qualità psicologiche si possono trasmettere o, in un certo senso, si possiedono dalla nascita? Le qualità morali, i valori che un allenatore ha dentro di se, fanno o non fanno la differenza nella costruzione “dell’uomo atleta”? A chiusura, tu giochi?

Educare i ragazzi all’atletica è un processo complesso in cui concorre, oltre alla dimensione fisica, anche un processo psichico. Le due componenti devono essere condotte verso un equilibrio e una interazione produttiva. Insegnare le tecniche di movimento come la corsa, i lanci e i  salti, che sono le cose basilari dell’atletica leggera, comporta una buona dose di preparazione, ma anche, e soprattutto, pazienza e comprensione, perché i ragazzini hanno una loro attenzione particolare e ognuno di loro ha un modo attraverso il quale apprende. Se non si ha capacità dialettica, una estrema sensibilità e comprensione, si rischia di avere poca efficacia e durata dell’apprendimento. Con questo voglio dire che bisogna assolutamente essere preparati e continuare a farlo nel tempo, nel metodo, ma anche nell’approccio empatico, che deve essere sempre presente e ben sintonizzato verso l’atleta, al genere e al contesto. Un buon atleta è aiutato a diventar tale, se può contare su qualcuno che come l’allenatore compartecipa al suo percorso sportivo ed umano. Il gioco? Questo è il mio gioco e voglio poterlo continuare a fare.

 



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