Internazionale. Mondiali indoor: il giorno dopo



Ora è fin troppo facile affermare che i segnali c'erano tutti: in altre occasioni le aspettative della vigilia erano andate smentite da risultati in controtendenza, ma questa volta non è stato così. La Russia, star di questo inverno dell'atletica mondiale, ha espresso un dominio assoluto nel mondiale al femminile, ed ha mantenuto altissima la guardia in quello maschile, cedendo solo agli Stati Uniti (come prevedibile), ma raccogliendo quasi il doppio dei frutti preziosi nel medagliere. Mai come stavolta le cifre parlano e definiscono i contorni di un momento, quello attuale, specchio dei valori internazionali del momento. Attenzione, però: mancano cinque mesi ai Giochi Olimpici, e molti protagonisti di primo piano hanno preferito il letargo silenzioso di un inverno che guarda lontano, ad Atene. Altri si sono messi in gioco mettendo nel conto di dover lasciar cantare altri al loro posto; si sono verificati, testati, in questo eccezionale mondiale al coperto, lasciando aperta la partita fino all'atto più importante della stagione, i cinque cerchi. E' stato il mondiale della Russia, è vero, e di questo vedremo nella classifica a punti ed in altri particolari significativi. E' stato ancor più il mondiale dei salti, settore che ha regalato cinque primati mondiali (il sesto nella non altrettanto significativa staffetta del miglio), che sommati ai record e migliori prestazioni stabiliti nel corso della stagione portano il totale a 14, dei quali 11 della Russia (7 di questi nei salti). Le cifre del mondiale Quelle sotto gli occhi di tutti sono le cifre delle medaglie, ma c'è altro da dire: il gigante russo ha ottenuto 19 medaglie contro le 10 degli Stati Uniti. Soltanto quelle del metallo più ambito, l'oro, sono il doppio, otto contro quattro. Di queste otto, sette sono arrivate dalle ragazze, una (quella dell'astista Pavlov) dai maschi. Solo una rappresentante americana invece, la veterana Devers, è salita sul gradino più importante del podio. Le altre tre vittorie sono giunte da Allen Johnson il 32enne, Stringfellow il 26enne, e Cantwell l'uomo nuovo del peso, 23 anni: tre generazioni a segnare una continuità nel ricambio dei protagonisti, in campo maschile, cosa che non è accaduta fra le donne. Non solo: nei successi al femminile della selezione russa, sono ben tre le accoppiate oro-argento: merito del formidabile duo delle quattrocentiste, delle saltatrici in alto e delle lunghiste. Discorso a parte merita Tatyana Lebedeva: la star dei campionati ha sorpreso non tanto per il successo nel triplo, reso immortale da tre primati mondiali in corso d'opera, quanto per i solidissimi progressi maturati nel lungo, dove fino a due stagioni fa vantava all'aperto un primato personale di appena 6.65, risalente addirittura al 1994 (da junior!). Solo nel 2001, con 6.71 indoor, l'atleta ha iniziato a riprendere confidenza col salto singolo, ed appena sei mesi fa, in settembre, si era portata a 6.82. L'esplosione di gennaio, con le accoppiate lungo-triplo di cui abbiamo dato notizia nelle cronache di inizio anno, è stata confermata da quanto visto a Budapest. Qualcosa è cambiato rispetto a Birmingham, un anno fa. Gli Stati Uniti, strada facendo, perdono sette medaglie: a Budapest ne hanno portate via dieci, tante quante furono quelle d'oro conquistate in terra inglese. Altre sette se ne aggiunsero fra argenti e bronzi, impresa che li collocò al primo posto nel medagliere iridato 2003. Anche la classifica a punti parlava a stelle e strisce un anno addietro: 144 punti contro i 124 della Russia, che poteva vantare cinque ori, quattro argenti e tre bronzi, per un totale di dodici podi. A Budapest la tendenza di è invertita, ma è conferma di quanto vediamo da anni: un duopolio, e per parafrasare il linguaggio della politica, un bipolarismo. Stavolta gli USA, complice una selezione nazionale un po' mortificata da numerose rinunce all'attività indoor e da strategie individuali tendenti ad altri obiettivi, cedono il passo sia nel computo delle medaglie (10 contro 19 della Russia, come visto), sia e soprattutto nella classifica a punti della manifestazione. Vediamola: Classifica a punti totale (le prime dieci nazioni) 1 Russia 156 2 Stati Uniti 119 3 Ucraina 57 4 Giamaica 47 5 Svezia 41 6 Bielorussia 40 7 Gran Bretagna 32 8 Romania 29 8 Etiopia 29 8 Kenya 29 (25° Italia 12) Classifica a punti maschile 1 Stati Uniti 64 2 Russia 38 3 Giamaica 35 4 Svezia 31 5 Kenya 29 6 Ucraina 23 7 Rep. Ceka 21 8 Gran Bretagna 19 9 Spagna 16 10 Romania 15 (28° Italia 5) Classifica a punti femminile 1 Russia 118 2 Stati Uniti 55 3 Ucraina 34 4 Bielorussia 29 5 Etiopia 23 6 Francia 16 6 Polonia 16 8 Grecia 15 8 Canada 15 10 Romania 14 La classifica a punti complessiva, cioè conteggiando sia uomini che donne, e attribuendo otto punti al primo classificato, sette al secondo e così via (fino ad un punto per l'ottavo classificato), pone la Russia al primo posto con 156 punti. Con 119 punti gli USA, e lontanissima, praticamente a cento punti dalla Russia (!) è terza l'Ucraina. Le ragioni di tale dominio sono evidenti allorquando posiamo gli occhi sulla classifica dei punti delle gare femminili: Russia 118, USA 55, via via tutti gli altri. Uno schiacciasassi. Nel settore maschile il discorso lascia ancora aperta la porta della supremazia agli americani, che esprimono da sempre un numero ben più vasto di protagonisti di punta: la classifica dice USA 64 e Russia 38, appena tre punti sopra i giamaicani. Per attribuire sempre un massimo di otto punti e rendere plausibile il conteggio, abbiamo considerato anche i migliore due esclusi dalla finale nelle gare di corsa dove i finalisti erano appena sei, attribuendo loro un virtuale settimo ed ottavo posto. Bilancio mondiale: i numeri Questo il medagliere al termine dei tre giorni di gara: Nell'ordine: classifica, nazione, ori, argenti, bronzi, medaglie complessive: 1 Russia 8 6 5 (19); 2 Stati Uniti 4 5 1 (10); 3 Etiopia 2 1 1 (4); 4 Svezia 2 1 1 (4); 5 Kenya 2 0 1 (3); 6 Giamaica 1 2 2 (5); 7 Ucraina 1 2 1 (4); 8 Rep. Ceka 1 1 1 (3); 9 Canada 1 1 0 (2); 9 Portogallo 1 1 0 (2); 11 Bahamas 1 0 1 (2); 11 Gran Bretagna 1 0 1 (2); 13 Grenada 1 0 0 (1); 13 Mozambico 1 0 0 (1); 13 Sud Africa 1 0 0 (1); 16 Bielorussia 0 2 1 (3); 17 Brasile 0 1 1 (2) ; 18 Bahrain 0 1 0 (1) ; 18 Belgio 0 1 0 (1); 18 Cina 0 1 0 (1); 18 Slovenia 0 1 0 (1); 18 Sudan 0 1 0 (1); 23 Cuba 0 0 2 (2); 23 Grecia 0 0 2 (2); 23 Romania 0 0 2 (2); 26 Croazia 0 0 1 (1); 26 Rep. Dem. Congo 0 0 1 (1); 26 Danimarca 0 0 1 (1); 26 Francia 0 0 1 (1); 26 Germania 0 0 1 (1); 26 Irlanda 0 0 1 (1); 26 Lituania 0 0 1 (1) Sono andati in medaglia atleti di 32 paesi diversi, e per l'oro gli interessati appartengono a 14 nazioni. Italia assente dal medagliere, vero, ma in buona compagnia (Spagna, ad esempio). Ad altre tradizionali grandi d'Europa non è andata granché meglio: vedasi la Francia, un bronzo con l'ostacolista Linda Ferga, e la Germania, idem col duecentista Unger, poi qualche piazzamento non sufficiente ad evitare un bilancio deludente. L'Italia, nonostante il mancato passaggio alla cassa dei metalli, ha portato in Ungheria una pattuglia che non ha affatto sfigurato, e mantiene intatte tutte le sue carte in prospettiva-Atene. Nella classifica a punti gli azzurri totalizzano dodici contro i dieci di un anno fa a Birmingham, e tornano a casa con un primato italiano assoluto, un doppio primato under 23, cinque finalisti. Le prestazioni individuali sono state tutt'altro che controprestazioni, come accaduto talora in passato, ma la brezza di Atene (o di Sydney, o di Atlanta, o andando a ritroso di quadriennio in quadriennio) già porta lontano. In alcuni casi molto lontano: si vedano in proposito i numeri nascosti del mondiale indoor. Eccone alcuni, limitati ai concorsi, dove si è visto il meglio: per accedere alle finali maschili con l'ultimo risultato utile, un anno fa a Birmingham erano sufficienti 2.25 in alto, 5.60 nell'asta, 7.84 nel lungo, 16.59 nel triplo (ma fu finale diretta) e 19.95 nel peso. Un anno dopo, a Budapest, nessuna di queste prestazioni avrebbe garantito la qualificazione: per acciuffare il posto in finale abbiamo assistito a misure come 2.27, 5.70, 7.96, 16.79 e 20.28! Fra le donne le differenza non è così netta, eccezion fatta per l'incredibile salto triplo, dove saltare 14.25 non è stato sufficiente per guadagnare il posto fra le prime dodici. A Birmingham bastò 14.09, e nel mondiale all'aperto di Parigi fu benigno 14.16. Qui la misura di qualificazione era 14.30, e sono state tutte e dodici, le protagoniste della finale, ad ottenere tale misura in qualificazione. Alcune gare hanno destato più delle altre la sensazione della grandezza in questa edizione dei campionati del mondo: non solo per i primati mondiali ma per il livello tecnico in generale. Per andare in medaglia col bronzo, ad esempio, sui 60 ostacoli femminili si è dovuto correre un decimo più veloce di quanto fatto nell'edizione di un anno fa, mentre sui 60 piani, dove a Birmingham bastava correre in 7.17 per arrivare terze, a Budapest con lo stesso tempo si è rimaste malinconicamente seste. L'asta non fa testo: ancora catapultata nella propria evoluzione, non stupisce un bronzo portato a casa con 4.70. Stupisce invece il risveglio del lungo, con misure più umane di qualche anno fa, ma raggiungibili da più atlete: la terza che prende al bronzo con 6.92 è una notizia, visto che a Birmingham e Parigi è bastato un modesto 6.70. In sostanza, le specialità dove i nostri colori potevano giocarsi le proprie chances sono state quelle dove la crescita tecnica dei risultati è stata più massiccia e massiva, ed è stata una costante nei concorsi. Trentin ad esempio: 7.84, la misura che l'atleta sardo ha ottenuto in qualificazione, a Birmingham fu sufficiente al cubano Meliz per accedere alla finale. Ancora: il 16.68 di Fabrizio Donato avrebbe dato il settimo posto in finale lo scorso anno. Qualche altro esempio generale: con 20.24 nel peso maschile nel marzo scorso si arrivava ai piedi del podio, qui si è andati mestamente in castigo, fuori dalla finale. Di queste differenze ne sa qualcosa Yago Lamela, che con 7.95 ha patito una inattesa eliminazione nel lungo, ma la stessa misura avrebbe portato ad un solo centimetro dal bronzo in finale a Birmingham. Asterischi mondiali In un passaggio molto veloce sui risultati di Budapest, assieme ai 6 primati mondiali (nonché europei), abbiamo contato 78 primati nazionali. Anche considerandone significativi appena la metà, visto che molti sono stati ottenuti da rappresentanti di paesi minori all'esordio al coperto, è tuttavia un gran bel bilancio. Conferme: il bis di Birmingham lo hanno centrato Allen Johnson ed il duo svedese Holm-Olsson fra gli uomini, e Nazarova e Mutola (quarto titolo indoor) fra le donne, oltre alla staffetta russa. Ancora Olsson e Johnson sono passati per l'oro anche a Parigi, come la Mutola, mentre da Parigi a Budapest hanno confermato il podio più alto la sorprendente canadese Felicien, la Lebedeva, e potrebbe essere stato il secondo oro consecutivo anche per la russa Kapachinskaya, che potrebbe risultare campionessa del mondo anche all'aperto qualora Kelli White venisse privata del titolo per la vicenda del farmaco assunto a Parigi. Uno ma buono: il salto del russo Shkurlatov, l'unico valido della serie ( il secondo), a 8.28, condito da cinque nulli. Nulla ha potuto il romeno Tarus, all'inseguimento della misura del russo per accaparrarsi il bronzo. Dal terzo al quinto salto, per lui 8.23, 8.25 ed 8.26. Sfortunato. Multiple: Roman Sebrle, l'uomo dell'over-9000 nel decathlon, ha segnato il nuovo limite europeo dell'eptathlon, con 6438 punti. Nel pentathlon, finalmente assurge al ruolo di star Enezenaide Gomes, portento portoghese nativo di Sao Tome e Principe. A Parigi non c'era, ma a Goetzis fu quarta, e fu un bel segnale. Corse: assente Gebrselassie e con Bekele sulla rampa di lancio per i mondiali di cross, l'Etiopia ha gettato nella mischia ciò che restava dei suoi immensi talenti. Sufficiente per due ori (con doppietta sui 3000 femminili) e quattro medaglie nel complesso. Il Kenya, poco rappresentato come da tradizione, non ha mancato gli obiettivi preposti con gli ori sui 1500 e tremila, con Lagat finalmente liberatosi in una qualsiasi disputa per le medaglie del fantasma di El Guerrouj. I primati mondiali della Lebedeva e di Olsson nel triplo non hanno fatto passare in secondo piano la formidabile ascesa di una delle pin-up della nuova generazione dell'alto: Yelena Slesarenko (o Sivushenko, come conosciuta fino a poco tempo fa). 2.04 per l'oro, reduce da 2 metri e 2.01 nel volgere dell'ultimo mese, nonché due tentativi a 2.08, a nostro parere relegano l'impresa dell'atleta russa allo stesso livello tecnico di quanto mostrato dalle citate Lebedeva ed Isinbayeva, a sua volta reimpossessatasi del mondiale (ma l'altalena fra lei e la rossa Feofanova proseguirà in estate). Punti fermi Il duopolio è sempre più tale quando ci sono le medaglie in gioco; il resto, distante anni luce come visto nel medagliere e come leggeremo fra poco nella tabella a punti, è contrapposizione di grandi isolati talenti, magari immensi come nel caso della Svezia (o del Sud Africa, qui non rappresentato dai suoi iridati dell'alto per varie ragioni), ma talentuose espressioni in un contesto incapace di reggere la forza d'urto complessiva di un materiale umano come quello che possono permettersi, quasi senza vuoti di specialità o di settore, le prime due della classe. Oltre i mondiali Negli States ultimi squarci di stagione prima degi campionati universitari del prossimo weekend, ma anche i campionati di prove multiple: titolo maschile a Paul Terek, complice il buco del campione del mondo Pappas nell'asta (tre nulli), e femminile a Tiffany Hogan-Lott. In Giappone ottime risultati dalla Lake Biwa Mainichi Marathon di Otsu. Successo a José Rios, alla prima maratona a termine dopo l'infausto debutto di Rotterdam, la scorsa stagione (dove si ritirò), in 2:07:42. Tadeyuki Ojima, in 2:08:18, è secondo, davanti a Wilson Onsare (2:08:33). Eventi del prossimo weekend: campionati NCAA indoor a Fayetteville, come detto, e Challenge europeo di lanci a Marsa (Malta). Marco Buccellato


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