I giorni d'oro di Mosca

30 Luglio 2015

35 anni fa le indimenticabili vittorie olimpiche di Maurizio Damilano, Sara Simeoni e Pietro Mennea

di Giorgio Cimbrico

Luglio non può finire senza gettar l’amo in un cristallino passato distante 35 anni, nei giorni tra il 24 e il 28, i giorni moscoviti di Maurizio, di Sara, di Pietro che non c’è più ma è come ci fosse: quella rimonta è una fuga per la vittoria, è una rabbia, una gioia, una trasfigurazione. Trentacinque anni sono, a palmi, un terzo di secolo, un tempo lungo che ci ha precipitato in un mondo molto diverso, più che ostile, estraneo. Ma quel che capitò a Mosca, nello stadio intitolato a Lenin (ora si chiama Luzhniki, non è più in pietra grezza e scabra e del vecchio rivoluzionario è rimasta solo la statua nei giardini che lo circondano) ha ancora una freschezza assoluta, una limpidezza che muove alla commozione.

Damilano lucido di sudore e bagnato di lacrime sul traguardo, e poi abbracciato a Giorgio, undicesimo, in una foto che fu impossibile non pubblicare. Uguali. Se il congedo non fosse arrivato in tempo, ciao Giochi, ciao medaglia d’oro: a Mosca non andò l’Italia, andò la squadra del Coni. Senza tricolore e, per loro, per i magnifici tre, senza Mameli da cantare con la bocca, con la testa, con il cuore, come dice un corale di Bach. E questo fu il 24 luglio, il giorno delle squalifiche fulminate (sette), della correttezza premiata, dell’inizio di una parabola iniziata a Scarnafigi dai Damilano Brothers sull’asfalto di tutto il mondo. Cinque anni fa, nell’incrocio che porta verso Saluzzo, a Maurizio hanno fatto un monumento: la silhouette di un uomo in marcia ripetuta quattro volte e un globo. Perfetto.

E poi venne il 26 luglio e in quel momento il bilancio degli scontri diretti tra Sara Simeoni e Rosemarie Ackermann era 6-2 a favore di quella che veniva chiamata la “fotografa di Cottbus” anche se in realtà era nata a Lohsa, Sassonia. Punteggio pesante, ma Sara cresceva e l’ultimo faccia a faccia si era risolto in un trionfo per la ballerina mancata: titolo europeo e record del mondo bis sulla collina praghese di Strahov. Se Rosemarie era stata la prima a valicare 2,00, toccò a lei alzare la quota. Mosca non fu quella furibonda e serena battaglia tra dame: Rosemarie, occhi tristi e condizione fievole, si fermò a 1,91 e solo la polacca Urszula Kielan provò ad opporsi a quella lieve forza d’urto, a quei voli. L’esultanza sui sacconi dopo l’1,97 dell’oro è diventata una delle immagini sante della nostra Bibbia laica e atletica. Sara è ricciuta e felice.

E poi venne il 28 luglio e quel buonanima di Primo Nebiolo non ebbe cuore perché conosceva il suo purosangue balzano, e raccontò di esser andato a  nascondersi in un cabina telefonica, a sfogliare un elenco in cirillico. E tutto sommato fece bene perché Pietro Paolo Mennea aveva deciso di offrire un spettacolo unico, abituale nell’ippica, non nelle corse per bipedi: la gara ad handicap. Quando la curva finì, Allan Wells, lo scozzese che aveva riportato in Gran Bretagna il titolo olimpico dei 100 cinquantasei anni dopo Harold Abrahams, aveva un margine di due metri sul cubano Silvio Leonard, qualcosa di più sul giamaicano Don Quarrie e quel che pareva un abisso incolmabile su Pietro che correva in ottava corsia e non aveva più una chance, una speranza, niente. Sino a quando il viso diventò una maschera di dolore e di ferocia e lui sembrò spingere su un acceleratore che non c’era, a rombare. E’ un arrembaggio disperato che è magnifico rivedere con quello che oggi chiamano super slomo, un rallentatore che distilla fotogramma dopo fotogramma, come gocce di un’acquavite preziosa. Sino all’ultima immagine: Pietro alza le braccia e apre il volto in un sorriso celestiale, Allan piomba pesante. Mai due centesimi sono stati così larghi, così chiari. Proprio vero, luglio non poteva finire così, senza di loro: Maurizio, Sara e Pietro che non c’è più, ma è come ci fosse ancora.

IL LUGLIO DEI RECORD: BOUIN E BUBKA - Ci sono giorni che non possono essere dimenticati malgrado numerose e ripetute rivisitazioni che possono esser state proposte in occasioni della data di nascita o per la scomparsa (coccodrillo) del protagonista o per celebrare, in caso di ricorrenze più o meno tonde, quel momento che ha cambiato volto a un campione, a una specialità, che ha permesso nuove consapevolezze, che ha promosso progressi, che ha proposto il solito dibattito sui limiti umani e sul loro spostamento. Di questa dimensione fanno parte il 6 maggio 1954 quando Roger Bannister varcò la barriera dei 4’ nel miglio, il 18 maggio 1912 e il 26 agosto 1977 quando prima un uomo (George Horine) e poi una donna (Rosemarie Ackermann) si elevarono a 2,00, o il 25 maggio 1935 quando Jesse Owens rafficò i suoi sei record mondiali in meno di un’ora posando per primo il piede oltre la terra incognita degli 8 metri. L’elenco, naturalmente, può continuare e comprendere altri “esploratori” che un tempo venivano chiamati nel pantheon della Royal Geographic Society, applauditi da una platea di eleganti membri in marsina e cilindro che non si erano mai mossi da Londra o dalle loro tenute di campagna. Lo scorso 13 luglio, si è festeggiata per la trentesima volta la prima ascensione a 6,00 che venne nello stadio intitolato a un piccolo-grande eroe, Jean Bouin, soprannominato l’Hercules de Marseille, caduto nel primo autunno della Grande Guerra. A conclusione di un’esibizione all’osso (5,70 alla prima, tre tentativi alla Quota, l’ultima quella buona) Sergei Bubka entrò nel club dei Memorabili e lo fece concedendosi con modalità generose: il record era il 5,94 romano venuto in fondo alla magnifica disfida con Thierry Vigneron che lo privò di un record che avrebbe mantenuto per trent’ani, a parte quel piccolo “buco” di dieci minuti. Sei centimetri in una volta l’ucraino di Voroshilovgrad (oggi Lugansk) non li concesse più, centellinando o, con licenza linguistica, “centimetrando” i suoi progressi a parte i passaggi tra 6,01 e 6,03 e tra 6,03 e 6,05 e, al coperto, tra 6,08 e 6,10. Rovistando nell’imponenza dell’archivio bubkiano, è da rilevare che luglio è stato il suo mese più prolifico (sei record), seguito da giugno (cinque) e febbraio (quattro). Rappresentati anche marzo, maggio, agosto e settembre. Uno zar per tutte le stagioni.



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